Tumore del polmone: un paziente su cinque è vivo a tre anni

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Tumore del polmone: un paziente su cinque è vivo a tre anni

di redazione

«Di fatto ci stiamo avvicinando alla concreta possibilità di abbandonare la chemioterapia nel trattamento del tumore del polmone. Si tratta di un grande vantaggio per i pazienti». A dirlo è Filippo de Marinis, past president dell'Associazione italiana di oncologia toracica (Aiot) e direttore della Divisione di Oncologia toracica all’Ieo di Milano.

Non è il caso di suscitare illusioni, tuttavia la speranza è che nel trattamento dei tumori del polmone si stia finalmente vivendo una svolta importante. Ed è di questo, soprattutto, che si parla a Napoli venerdì 3 luglio nella conferenza internazionale Immunotherapy and cancer, reality and hopes, promossa dall’Aiot, alla quale partecipano più di 150 esperti da tutto il mondo.

In Italia nel 2014 sono state stimate 40 mila nuove diagnosi (circa il 30% fra le donne) e nel 2011 si sono registrate 33.706 morti (ultimo dato Istat disponibile).

Grazie alle nuove terapie, il 20% dei pazienti con tumore del polmone in fase avanzata è vivo a tre anni; un dato ancora più significativo se si considera che riguarda anche i fumatori, i più colpiti da questa malattia (85% dei casi) e che non presentano mutazioni genetiche. È il più importante risultato mai ottenuto finora e il primo reale passo in avanti negli ultimi venti anni in una neoplasia particolarmente difficile da trattare. L’unica arma disponibile infatti era rappresentata dalla chemioterapia, poco efficace e molto tossica. Oggi un farmaco immunoterapico innovativo, nivolumab, sembra avere le potenzialità per cambiare lo standard del trattamento ed è disponibile in Italia per uso compassionevole. «Molto importanti» sono i dati della sopravvivenza a uno e due anni, «pari al 51% e al 25% dei pazienti – spiega Cesare Gridelli, presidente Aiot e direttore del Dipartimento di Oncoematologia dell’ospedale Moscati di Avellino. Solo il 15% dei casi di tumore del polmone, precisa, riguarda i non fumatori, che di solito presentano mutazioni genetiche e possono essere trattati con farmaci a bersaglio molecolare. Ma l’85% delle diagnosi interessa i tabagisti, che non sono caratterizzati da queste alterazioni e non disponevano finora di alcuna arma realmente efficace. «L’immunoterapia è la nuova frontiera nel trattamento di questa malattia – assicura Gridelli - e ha dimostrato di offrire benefici a lungo termine indipendentemente dalla presenza di mutazioni genetiche. Non solo: sta evidenziando risultati rilevanti sia nella forma metastatica non a piccole cellule squamosa che nell’adenocarcinoma, in particolare nei pazienti già trattati, cioè in seconda e terza linea». L’immunoterapia «aumenta la sopravvivenza globale di circa tre mesi rispetto alla chemioterapia e, soprattutto, possiamo parlare di pazienti vivi a distanza di un triennio» aggiunge de Marinis, mentre «con la chemioterapia la sopravvivenza in fase avanzata non supera i dieci mesi. Siamo di fronte a una grande opportunità per le persone colpite da questo tumore».

L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha attivato, grazie alla disponibilità di Bristol Myers-Squibb, un programma di uso compassionevole di nivolumab in seconda e terza linea, cioè in pazienti con malattia avanzata già trattati con chemioterapia. Sono in corso sperimentazioni per verificare l’efficacia del farmaco immunoterapico sia in prima linea, cioè in persone non pretrattate, sia in fase post-operatoria in cui le percentuali di guarigione sono elevate.