La demenza non arriva all'improvviso

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La demenza non arriva all'improvviso

di redazione

Prevedere lo sviluppo della demenza si può, fin da otto anni prima almeno. A rivelarlo è una ricerca, pubblicata sul Journal of Alzheimer’s Disease, realizzata nell'ambito del progetto Ilsa (Italian Longitudinal Study on Aging) da Antonio Di Carlo dell'Istituto di neuroscienze del Cnr (In-Cnr) e Domenico Inzitari dell’Università di Firenze, su 2.400 ultrasessantacinquenni, rappresentativi della popolazione anziana in Italia. Ha coordinato la ricerca Emanuele Scafato dell'Istituto superiore di sanità. In sintesi, dallo studio è emerso che in persone con deficit cognitivo lieve (Mci-Mild Cognitive Impairment), il manifestarsi di difficoltà nell’esecuzione delle attività quotidiane più complesse del semplice lavarsi e vestirsi consente di predire lo sviluppo di demenza con un anticipo di otto anni.

«La vita quotidiana presuppone lo svolgimento di attività elementari, quali lavarsi, vestirsi, alimentarsi, e di attività più complesse, definite strumentali, come usare il telefono, fare acquisti, preparare il cibo, effettuare le pulizie domestiche, utilizzare i mezzi di trasporto, maneggiare il denaro, assumere autonomamente eventuali terapie» osserva Di Carlo. «La ricerca – prosegue - ha dimostrato che avere problemi nelle seconde, le più complesse, permette di predire lo sviluppo di demenza in chi è affetto da Mci; e questo indipendentemente dall’età, dal sesso e dalla presenza di altre malattie». La ricerca ha inoltre individuato un legame tra il numero di attività strumentali che creano problemi e lo sviluppo della demenza. «Incontrare difficoltà in una sola delle attività complesse raddoppia il rischio di demenza – spiega il ricercatore - mentre se le attività interessate sono più di quattro il rischio aumenta di nove volte nei successivi otto anni».

Lo studio Ilsa ha anche fornito stime sulla frequenza della demenza nel nostro Paese. «In Italia le persone affette da questa patologia sono circa 700 mila e circa 150 mila i nuovi casi ogni anno; gli ultrasessantacinquenni affetti da deficit cognitivo lieve sono circa tre milioni: un anziano su quattro. Per loro – conclude Di Carlo - il rischio di demenza è significativamente superiore rispetto agli anziani con funzioni cognitive normali».