L'intestino ci protegge dall'inquinamento

Batteri a confronto

L'intestino ci protegge dall'inquinamento

di redazione
I microrganismi intestinali sono in grado di supplire alle carenze alimentari e si sono adattati per proteggerci dagli inquinanti. Ma anche per rendere inefficaci gli antibiotici

Cosa hanno in comune gli Hadza, una delle ultime popolazioni di cacciatori-raccoglitori ancora esistente in Tanzania, e gli abitanti di Bologna? Possiamo dire nulla, stili di vita totalmente diversi, dieta idem per non parlare dell'habitat. Ma andando ad analizzare i batteri che ne popolano l'intestino potremmo restare sorpresi nello scoprire le diverse funzioni che questi svolgono a seconda di come e dove vive chi li possiede, per così dire. Seppur con molte differenze, infatti, i microrganismi intestinali consentono sia agli Hadza che ai cittadini bolognesi di adattarsi a diversi regimi alimentari e strategie di sussistenza. E di rispondere ai pericoli del mondo d'oggi, per esempio quelli ambientali. Secondo uno studio al quale hanno preso parte anche i ricercatori dell'Istituto di tecnologie biomediche del Cnr di Segrate (Milano), i batteri intestinali contribuiscono a mantenere l'equilibrio metabolico, fornendo i nutrienti di cui l'alimentazione è carente, e si sono evoluti in modo da proteggerci dai derivati del petrolio, per esempio.

La ricerca, che ha visto collaborare Itb-Cnr, Università di Bologna, Max Planck Institute (Germania) e Università del Nevada (Usa), ha messo a confronto le nostre popolazioni intestinali con quelle degli Hadza, ultimi cacciatori-raccoglitori. I risultati, pubblicati su Current Biology, evidenziano il ruolo chiave svolto dai batteri nell'evoluzione: secondo gli autori, è anche grazie ai nostri microrganismi intestinali che abbiamo potuto trasformarci da cacciatori-raccoglitori, quali eravamo nel Paleolitico, ad agricoltori nel Neolitico, fino alle società moderne nelle quali siamo giunti a poter degradare prodotti derivati dalla raffinazione del petrolio, ma anche ad accentuare la resistenza del nostro organismo agli antibiotici.

«Lo studio dimostra come i microrganismi intestinali svolgano un processo fondamentale all'equilibrio energetico necessario per la nostra salute», spiega Clarissa Consolandi dell'Itb-Cnr di Segrate. «Quando gli amminoacidi essenziali sono carenti nella dieta, ad esempio, sono proprio loro a fornirceli. In particolare, i batteri intestinali degli Hadza sono specializzati nella formazione di amminoacidi aromatici presenti in cibi quali uova e latte, di cui la loro alimentazione è povera; quelli degli italiani sono invece specializzati nella biosintesi di amminoacidi ramificati di cui sono ricchi soia e riso integrale, carenti nei nostri pasti. La ricerca dimostra poi come i microrganismi intestinali si specializzino nella degradazione dei carboidrati: polisaccaridi complessi di origine vegetale, come quelli presenti in bacche e piante ricche di fibre, per gli Hadza; zuccheri semplici e raffinati contenuti nel pane e nella pasta per gli italiani»

L'analisi ha permesso di scoprire la risposta dei batteri intestinali in un'epoca caratterizzata da inquinamento e sostanze tossiche. «I batteri intestinali degli italiani sono deputati alla degradazione e detossificazione di composti 'xenobiotici', cioè sostanze estranee all'organismo che possono causare effetti nocivi per la salute, quali il naftalene, ottenuto dalla raffinazione del petrolio, i benzoati, comuni conservanti alimentari, e gli xileni», continua la ricercatrice. «Questa è ovviamente una risposta adattativa delle popolazioni urbane all'esposizione ripetuta a tali xenobiotici, che consente di ridurre il rischio per la salute».

La ricerca si è concentrata inoltre sull'incremento della resistenza agli antibiotici a cui si assiste negli ultimi decenni nei paesi occidentali, a seguito del loro uso massivo in ambito farmaceutico e negli allevamenti. «Comparando i geni microbici che conferiscono tale resistenza negli italiani e negli Hadza, una delle rare popolazioni contemporanee ancora non esposta a tali sostanze è stato possibile valutare come l'utilizzo degli antibiotici nei paesi occidentalizzati stia favorendo, oltre alla formazione di specifici geni nei batteri intestinali, anche un incremento della loro mobilità da microrganismo a microrganismo, particolare che accentua la resistenza dell'organismo, rendendo sempre più difficile realizzare antibiotici efficaci», conclude la ricercatrice.