Un prelievo di sangue e un Eeg per predire la demenza

Un prelievo di sangue e un Eeg per predire la demenza

di redazione

È questa la possibilità che si intravede nei risultati di uno studio condotto da neurologi, genetisti e bioingegneri del Policlinico Gemelli e dell'Università Cattolica in collaborazione con l’Irccs S. Raffaele Pisana di Roma. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Annals of Neurology.

Si tratta di un test combinato, semplice e poco costoso, basato su un prelievo di sangue e un elettroencefalogramma (Eeg). Potrebbe essere destinato a coloro che presentano un lieve declino cognitivo (MCI) e che proprio per questo hanno un rischio venti volte più elevato di ammalarsi di demenza rispetto ai coetanei sani. Solo la metà di coloro che hanno una forma di declino cognitivo lieve svilupperanno effettivamente poi la malattia; a oggi, però, non è possibile prevederlo in modo semplice, economico e non invasivo, ma servono esami come la Pet, la risonanza magnetica o la puntura lombare.

Il test ha dimostrato un’accuratezza elevata (cioè non dà falsi positivi o false diagnosi) fino al 92%. Il prelievo di sangue serve a condurre un semplice test genetico alla ricerca di una mutazione legata al rischio di Alzheimer, sul gene ApoE. I segnali registrati con l’Eeg, invece, sono interpretati con un’analisi matematica (teoria dei grafi) che consente di capire come sono connesse tra loro le diverse aree del cervello. Accuratezza e sensibilità sono poi state valutate con una casistica di 145 pazienti con MCI in cui il test genetico e l’Eeg sono stati eseguiti all’inizio dello studio. Il campione è stato seguito per alcuni anni e 71 di loro hanno sviluppato una demenza, mentre 74 sono rimasti stabili.

Se è possibile sapere in anticipo se la persona si ammalerà o no, il potenziale paziente può essere inquadrato in un percorso terapeutico con farmaci già disponibili e più efficaci in questa fase pre-malattia ed essere spronato a modificare i propri stili di vita in modo da ridurre il rischio di demenza o di ritardare l’esordio dei sintomi oppure rallentarne la progressione. Inoltre, «quando arriveranno i farmaci innovativi destinati alle forme “prodromiche” di Alzheimer, dovremo avere lo strumento per intercettare per tempo quali sono i soggetti che certamente si ammaleranno» aggiunge il coordinatore della ricerca, Paolo Maria Rossini, direttore dell’Area di Neuroscienze del Gemelli e professore di Neurologia alla Cattolica.

Il test sarebbe utilizzabile da subito nella pratica clinica, precisa Rossini, ma è previsto un ”collaudo” all’interno di un progetto di ricerca comparativa (INTERCEPTOR). «Nel trial – prosegue - il nostro e altri test saranno messi a confronto per valutare la loro accuratezza, i loro costi e la loro facilità di esecuzione all’interno di un modello organizzativo su scala nazionale». Questo progetto è unico sullo scenario internazionale, ma «purtroppo – conclude Rossini - stiamo assistendo a un rallentamento dell’avvio del trial multicentrico». L’auspicio, quindi, è che «al più presto le nostre Autorità regolatorie colgano l’importanza dell’iniziativa scientifica che porrà il nostro Paese all’avanguardia nel mondo nello studio di questa grave, sempre è più diffusa e invalidante patologia neurologica».