Quel pasticciaccio brutto del Tamiflu

Farmaci

Quel pasticciaccio brutto del Tamiflu

di Roberta Pizzolante
Efficace? Sì, no, forse. L'oseltamivir, venduto a suon di miliardi come antidoto contro aviaria e suina, torna a far parlare di sé. Uno studio su The Lancet lo riabilita dalle precedenti accuse di inefficacia. Intanto medici, malati e autorità sanitarie non sanno più a chi credere

Prima farmaco miracoloso, poi completamente inutile e ora di nuovo efficace. La storia dell'oseltamivir, meglio conosciuto come Tamiflu, molecola antivirale indicata nel trattamento e nella profilassi dell'influenza A e B, sembra non finire mai. Balzata agli onori della cronaca dalla metà degli anni Duemila, in pieno allarme per la diffusione dell'influenza aviaria e della suina, sembrava dovesse essere l'antidoto a una eventuale pandemia mondiale, tanto che i Governi di ogni dove si affrettarono a farne scorta spendendo cifre da capogiro. Salvo poi scoprire che la spesa non valeva la candela e che l'efficacia del farmaco era pari a quella di una normale pasticca di paracetamolo, secondo una ricerca indipendente dell'aprile scorso. Ma non è finita qui. Ora la polemica è destinata a riaccendersi con la pubblicazione su The Lancet di un nuovo studio che riabilita il farmaco della Roche dimostrando che allevia i sintomi influenzale e riduce la necessità di ricoveri in ospedale.

Facciamo un passo indietro, a quando la diffusione dei ceppi virali di influenza aviaria (2006) e di suina (2009) ha messo in allarme la sanità mondiale. In quei giorni, quando mangiare un petto di pollo sembrava un salto nel buio e i controlli in aeroporto scene da guerra biologica, la macchina dell'emergenza si è messa subito in moto. Per evitare il rischio di una pandemia (in realtà mai verificatasi) e la psicosi collettiva, i Governi hanno fanno incetta del medicinale, i depositi di mezzo mondo erano colmi di scatole di oseltamivir, indicato come la strategia più efficace per far fronte ai virus e limitarne la diffusione anche nelle Linee guida dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sull'utilizzo degli antivirali nella prevenzione delle epidemie.

Già allora qualcuno non era convinto della reale utilità del Tamiflu. I ricercatori indipendenti della Cochrane collaboration, infatti, chiesero all'azienda produttrice, la Roche, di poter visionare i dati dei trial clinici ma la risposta fu negativa. Il no dell'azienda scatenò una serie di polemiche portando addirittura a una campagna per chiedere a Big Pharma di rendere pubblici tutti i risultati degli trial clinici sui farmaci.

Non funziona

Solo qualche anno dopo la casa farmaceutica si è decisa a fornire ai ricercatori i dati richiesti, che sono stati analizzati per svolgere una revisione poi pubblicata ad aprile 2014 sulle pagine del British medical journal (Bmj), rivista che fu capofila in quesa crociata.

Nello studio il gruppo della Cochrane ha presentato i risultati della sua analisi, secondo i quali il Tamiflu ridurrebbe la durata dei sintomi influenzali solo di mezza giornata rispetto al placebo, da sette giorni a sei e mezzo. Nessuna prova di efficacia nel prevenire la diffusione dell'aviaria, né effetti di riduzione delle complicazioni gravi, come la polmonite, o del numero di ricoveri ospedalieri. In sostanza, la molecola sarebbe inutile e tutti i soldi spesi dai vari Governi per accaparrarsi scorte del medicinale totalmente sprecati, secondo la Cochrane. Basti pensare che grazie alla vendita del farmaco a un prezzo tra i 35 e i 70 euro a scatola (in base al Paese e alla richiesta), la multinazionale svizzera ha fatturato, solo nel 2009, qualcosa come 2,64 miliardi di euro.

Funziona

Sembrava tutto finito lì, con la replica della casa farmaceutica che giudicava lo studio "frammentario e incompleto" e le istituzioni sanitarie di mezzo mondo che si mordevano le mani e cercavano di farsene una ragione. Ma ora un nuovo tassello si aggiunge alla discussa vicenda. Un team guidato dall'epidemiologo Arnold Monto della School of Public Health dell'Università del Michigan ad Ann Arbor (Usa) ha condotto, con il finanziamento indiretto della stessa Roche c'è da precisare, una nuova meta-analisi definita "la più approfondita finora disponibile". I ricercatori hanno esaminato i dati di nove sperimentazioni cliniche condotte dal 1997 al 2001 che hanno incluso oltre 4.300 pazienti e hanno trovato che l'oseltamivir riduce la durata dell'influenza e il tasso di ospedalizzazioni. Come riportato su The Lancet, i pazienti trattati con la molecola sono guariti dai sintomi influenzali in minor tempo, un giorno prima rispetto a chi era stato trattato con placebo (quattro giorni contro cinque), ottenendo anche un minor rischio di complicazioni respiratorie che richiedono uso di antibiotici (44% in meno) e di finire all'ospedale (63% in meno).

E ora?

Quindi ci si torna a chiedere se il composto sia efficace oppure no. In realtà nessuno dei due studi fa una raccomandazione esplicita a favore o contro l'uso dell'antivirale per curare l'influenza, si legge in un commento sulla rivista Nature. Entrambe le ricerche hanno sottolineato gli effetti collaterali, come nausea e vomito, che nell'ultimo studio su The Lancet sono risultati rispettivamente del 3,7% e del 4,7%, tanto da indurre i ricercatori a concludere che il farmaco offre dei benefici, ma va valutato con attenzione se questi sono superiori agli effetti collaterali.

Intanto si riaccende la polemica. Il fronte dei detrattori critica la nuova ricerca in quanto sostenuta dall'azienda produttrice dell'antivirale. «Questi ricercatori non sono neutrali», ha dichiarato su Nature Tom Jefferson, coautore della meta analisi Cochrane dell'anno scorso: due di loro avrebbero preso soldi dall'azienda al di là dello studio e uno è parte del consiglio della Gilead Sciences, la casa farmaceutica che ha inventato il Tamiflu e poi lo ha concesso in licenza a Roche. Inoltre, a detta di Jefferson, lo studio non aggiunge nulla di nuovo rispetto a quanto già si sapeva.

Sul fronte opposto non è d'accordo Stuart Pocock, esperto di statistica medica alla London school of hygiene and tropical medicine e uno degli autori della nuova ricerca, che difende l'operato dei colleghi sottolineandone l'esperienza: «Servono autori che conoscono davvero il problema influenza - dice - altrimenti si corre il rischio che l'indipendenza diventi ignoranza». Per quanto riguarda i risultati poi, aggiunge Pocock, dal momento che lo studio è il primo a utilizzare la totalità dei dati dei precedenti trial, dovrebbe «scardinare ogni dubbio» sui rischi e i benefici del farmaco.