Scienza e giornalismo: il comunicato stampa non la racconta giusta

Comunicazione

Scienza e giornalismo: il comunicato stampa non la racconta giusta

di Cristina Gaviraghi
La concorrenza sfrenata tra gli enti di ricerca, la necessità di attrarre visibilità e fondi. Così, sempre più spesso, a lanciare notizie gonfiate sono le stesse istituzioni che hanno condotto gli studi

Dal nuovo farmaco miracoloso contro il cancro, in realtà solo una molecola che ha mostrato timidi risultati sui topi in laboratorio, al cibo che salva dall’Alzheimer che, a dire il vero, è solamente un composto di un alimento che, ad alte concentrazioni, sembra avere un effetto protettivo sul cervello. 

Sono solo due esempi di come una scoperta scientifica possa essere amplificata a tal punto da vedere quasi snaturare il suo significato, pur partendo da un fondo di verità. 

Su quotidiani, riviste e siti web d’informazione, quando si parla di scienza e medicina, si leggono spesso notizie al limite del sensazionalismo che riportano con toni e affermazioni esagerate, fin troppo semplicistiche, i risultati di ricerche scientifiche apparse su prestigiose riviste internazionali. 

Ma chi incolpare per tutto ciò? Il solito giornalista che cerca il titolo a effetto per calamitare l’attenzione del lettore? 

Non è sempre questa la realtà dei fatti. In molti casi la responsabilità di una notizia scientifica divulgata con troppo clamore è da imputare a fonti ancor più autorevoli: agli stessi comunicati stampa rilasciati dagli istituti di ricerca dove la scoperta è nata. 

Ad affermarlo sono alcuni psicologi dell’Università di Cardiff sulle pagine del British Medical Journal. Gli studiosi hanno esaminato oltre 450 comunicati stampa, emanati nel 2011, da 20 tra le più importanti università del Regno Unito. Parallelamente sono stati considerati anche gli articoli originali, pubblicati su riviste scientifiche, a cui i comunicati si riferivano e tutte le notizie, più di 600, apparse sulla stampa generalista che riprendevano quelle stesse scoperte effettuate nel campo della medicina e della scienza. 

«La nostra indagine ci ha sorpreso: più di un terzo dei comunicati stampa conteneva affermazioni iperboliche relative al lavoro scientifico di cui trattava», dichiara  Petroc Sumner, principale autore dello studio. Per essere più precisi, i ricercatori britannici hanno cercato nei contenuti diramati dalle università tre modalità con cui la ricerca in questione poteva essere distorta o “gonfiata”: fornendo consigli ai lettori  su come cambiare il proprio comportamento in base al risultato della ricerca stessa, dichiarando l’esistenza di un rapporto causa-effetto tra i fenomeni analizzati dagli studiosi, quando invece si riscontrava tra loro solo una relazione, e suggerendo un’applicazione dei risultati della ricerca anche sull’uomo, anche se gli esperimenti erano stati condotti solo su animali. 

Sul totale dei comunicati stampa esaminati, queste deformazioni del reale contenuto della ricerca erano presenti, rispettivamente, nel 40, 33 e 36 per cento dei comunicati stampa. Percentuali che aumentavano ulteriormente se si considerava l’insieme delle notizie pubblicate basate sulle stesse scoperte scientifiche. 

Quando, invece, i comunicati stampa non presentavano affermazioni esagerate, questo si rifletteva anche in una minor frequenza di sensazionalismo sulla stampa generalista. 

Conclusione: un’eccessiva enfasi nelle notizie sarebbe fortemente associata ad amplificazioni già presenti nei comunicati stampa universitari. L’organo che dovrebbe garantire una divulgazione corretta e puntuale dell’attività di ricerca di un’istituzione scientifica, in realtà, è spesso causa della sua mistificazione.  

«Riassumere il contenuto di un lavoro scientifico, per farlo conoscere ai giornalisti e a un pubblico più vasto, prevede necessariamente dei cambiamenti nello stile di presentazione e delle semplificazioni per stimolare l’interesse nei confronti della ricerca, ma questo non giustifica le esagerazioni», continua Sumner. Tanto più che le notizie su medicina e salute pubblicate dai media possono influenzare le scelte di vita delle persone in ambito sanitario. 

Certo, non accade sempre che i comunicati stampa contengano affermazioni amplificate, ma il fatto che comunque accada desta preoccupazione e perplessità, anche perché spesso questi comunicati vengono approvati dagli stessi autori della ricerca. 

Cosa li spinge ad avallare dichiarazioni che non si attengono strettamente ai risultati conseguiti nei loro studi? 

La crescente cultura della concorrenza tra università e la necessità che gli atenei e i gruppi di ricerca hanno di autopromuoversi per guadagnare visibilità e nuovi fondi potrebbero in parte spiegare il fenomeno. A tutto questo va aggiunta la pressione esercitata sui giornalisti cui si chiede spesso di fare di più in meno tempo, anche se ciò non li solleva dalla responsabilità di verificare alla fonte principale, la pubblicazione scientifica in questi casi, la veridicità di quello che riportano. E affermazioni appropriate e accurate sono un punto di partenza necessario per una corretta informazione scientifica, anche se rivolta al grande pubblico. 

Ma se è nel mondo accademico che spesso nascono le mistificazioni, proprio questo mondo ha la possibilità di fare la differenza nella qualità della comunicazione medico-scientifica. In un editoriale che accompagna la ricerca di Sumner e colleghi, l’epidemiologo londinese Ben Goldacre, sostiene, infatti, che i comunicati stampa dovrebbero essere parte integrante del processo di pubblicazione scientifica, strettamente associati all’articolo che riporta la ricerca, revisionati e responsabilmente firmati dai loro autori.