Aids: cure efficaci, ma solo la metà dei pazienti ne beneficia completamente

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Aids: cure efficaci, ma solo la metà dei pazienti ne beneficia completamente

di redazione

Nel mondo 25 milioni di persone con infezione da Hiv non hanno accesso alle terapie antiretrovirali e dei 15 milioni che invece possono averle solo una su quattro aderisce correttamente alle cure e ne beneficia pienamente. In Italia e nei Paesi occidentali la quota sale attorno al 50%. Il resto delle persone non sa di avere contratto il virus, non si presenta ai centri di cura o si perde in corso di terapia. Con la duplice conseguenza che non solo le terapie rischiano di essere meno efficaci ma anche che il rischio di diffusione dell’infezione non si riduce.

Da questi dati di fatto è partito il progetto promosso dall’Istituto Spallanzani di Roma che coinvolge dieci centri specializzati nella cura dell’Hiv in tutta Italia e  le associazioni impegnate a livello nazionale nella lotta all’Aids e nel supporto alle persone con Hiv. 

«Nel 2012 in Italia – sottolinea Enrico Girardi, direttore di Epidemiologia clinica dello Spallanzani - erano inconsapevoli del proprio stato di infezione da Hiv tra le 10 mila e le 12 mila persone, pari a circa l’11-13% delle persone che hanno contratto l’infezione. Esistono poi persone che non accedono ai centri di cura o non ricevono un trattamento efficace o non lo assumono correttamente. Bisogna far si che le persone non abbandonino le terapie rischiando per sé stessi e per gli altri».

Gli studi condotti nei Paesi industrializzati hanno mostrato che un controllo completo dell’infezione si può ottenere in una metà delle persone con Hiv. In Italia questa percentuale è tra il  50% e il 60%, ma ci sono Paesi come gli USA dove è stimata intorno al 25%. L’obiettivo fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità è di portare questa percentuale al di sopra del 70% nel prossimo quinquennio.

Lo Spallanzani è impegnato in tre importanti progetti europei che riguardano il mantenimento in cura delle persone con Hiv, la prevenzione dell’Hiv in persone vulnerabili e un progetto per migliorare la qualità di prevenzione di Hiv. «Sul territorio nazionale – aggiunge Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto -è appena partito un progetto per un'analisi sistematica delle preziose attività svolte storicamente dalle associazioni riguardo il mantenimento delle cure in pazienti con Hiv, in modo da programmare in maniera sistematica e omogenea le migliori modalità per mantenere le persone all’interno dei percorsi di cura».

«Alle competenze clinico–scientifiche vadano sempre associate le competenze umane dei professionisti della salute e di chi la malattia la vive in prima persona in modo diretto o indiretto – sostiene Marta Branca, commissario straordinario Ifo-Inmi e si impegna per abbatterla. Insieme quindi ribadiamo il nostro impegno a costruire alleanze e a lavorare perché il problema possa essere risolto».