Malattie reumatiche, presentato il primo censimento ufficiale

Sanità

Malattie reumatiche, presentato il primo censimento ufficiale

di redazione
Aumentano la diffusione e il peso economico delle malattie reumatiche in Italia: 370 mila le esenzioni per sette patologie per una spesa pari allo 0,2% del Pil. Lo dice il primo censimento ufficiale realizzato in 150 asl dall’Associazione malati reumatici Emilia Romagna

Le malattie reumatiche sono in crescita in Italia e oltre ai disagi e alle disabilità per chi ne è colpito si portano dietro un importante aumento dei costi economici. Il loro peso sul prodotto interno lordo, infatti, è pari a circa lo 0,2%. Sono i dati che emergono dal primo censimento ufficiale delle malattie reumatiche promosso dall'Associazione malati reumatici Emilia Romagna (Amrer) e misurato in base ai codici esenzione di sette patologie tra le più gravi e invalidanti: sono esattamente 371.586 i pazienti esentati in 150 Asl distribuite nelle singole regioni, pari allo 0,6% della popolazione italiana. Il il 68% è donna e oltre la metà del campione censito è in età lavorativa, tra i 45 e i 65 anni.

L'indagine sottolinea il "peso" quantitativo di artrite reumatoide (codice 006), psoriasi (codice 045), lupus eritematoso sistemico (codice 028), malattia di Sjogren (codice 030), morbo di Paget (codice 037), sclerosi sistemica progressiva (codice 047) e spondilite anchilosante (codice 054). Il dato complessivo, che sottostima la prevalenza reale di tutte le malattie reumatiche (in quanto non considera quelle non censite o i pazienti esenti per altri motivi come l'età o il reddito), indica in ogni caso un livello minimo certo dell'impatto di queste patologie. I numeri che ne vengono fuori permettono di costruire una mappa dei pazienti in base all'età, al genere e al territorio di residenza e sono utili per capire i bisogni dei pazienti, i loro diritti, il ruolo del reumatologo e per rispondere con efficienza e appropriatezza.

«Le malattie reumatiche sono in assoluto le più diffuse, ne soffre circa il 10% della popolazione generale, basti dire che su dieci pazienti presenti in un ambulatorio medico, almeno quattro lamentano un problema reumatologico», afferma Ignazio Olivieri, direttore U.O.C. di Reumatologia dell'Azienda ospedaliera San Carlo di Potenza, presidente eletto della Società italiana di reumatologia (Sit). «Sono patologie croniche, caratterizzate da dolore, rigidità, disabilità di vario grado fino all'invalidità». Infatti, rappresentano la prima causa di invalidità temporanea e la seconda di invalidità permanente: il 27% delle pensioni di invalidità è attribuibile a queste patologie. Ogni paziente non adeguatamente trattato perde in media 12 ore di lavoro settimanale, 216 euro per la ridotta efficienza; quattro pazienti su dieci sono costretti a cambiare o a rinunciare al lavoro.

«Il numero totale di esenzioni attive per le sette patologie censite è di 371.586, che è come dire tutti i residenti del Comune di Bologna o di Firenze. Un numero davvero significativo se si pensa che corrisponde a persone con una patologia cronica fortemente invalidante che non guarisce, ma che purtroppo continua ad evolvere», aggiunge Daniele Conti, responsabile Area progetti di Amrer onlus. «Inoltre il report ha fatto emergere un trend costante di aumento delle esenzioni per patologie reumatiche, possiamo stimare che in futuro avremo oltre 40.000 esenzioni ticket in più all'anno in Italia».

Andando a guardare nel dettaglio, emerge che il 41,6% delle esenzioni rilasciate è per artrite reumatoide (154.610), seconda significativa patologia è la psoriasi nelle sue varie forme con il 31,8% (118.245 esenzioni ticket), patologie di minore prevalenza numerica ma altrettanto severe come la sclerosi sistemica progressiva e il lupus eritematoso sistemico (Les), rappresentano globalmente il 12,8%. Sul fronte dell'assistenza, la maglia rosa per organizzazione dei servizi, presenza di centri specialistici e competenza dello specialista reumatologo spetta a Friuli Venezia Giulia (0,79% di esenti ticket), Veneto (0,78%), Lombardia (0,72%), seguite da Toscana (0,70%), Emilia Romagna, Puglia. Meno virtuose, Lazio, Umbria, Marche, Basilicata, Val d'Aosta, Campania che vede bocciata Napoli (0,31%). Altro dato interessante emerso dal report è il numero di bambini e ragazzi sotto i 18 anni di età con esenzioni-ticket, l'1% del campione (5.670). Un numero enorme considerato che oltre 4.200 bambini censiti sono affetti da artrite Reumatoide, esenzione che nonostante le esigenze dei piccoli siano molto diverse, mutua dagli adulti le stesse modalità di gestione di malattia e di approccio farmacologico.

In Emilia Romagna i dati dell'indagine di Amrer sono stati già elaborati e utilizzati per la definizione e attivazione della "Rete reumatologica metropolitana" del territorio bolognese, cioè un percorso ideale per un paziente con i sintomi sospetti, dove si sappia precisamente "chi fa cosa dove" rendendo più semplice l'accesso all'assistenza. «Nella nostra Regione non ci siamo posti il problema di risparmiare quanto piuttosto abbiamo deliberatamente lavorato sull'efficientamento del percorso assistenziale e sulla sua appropriatezza», spiega Antonio Brambilla, responsabile Assistenza distrettuale, pianificazione e sviluppo servizi sanitari della Regione Emilia Romagna, Assessorato alle Politiche per la Salute. «Lo scopo era rendere le risposte del Servizio sanitario più appropriate ai bisogni dei pazienti, nel rispetto delle nuove chance terapeutiche oggi a disposizione e anche sanare, tra le altre cose, le carenze che potevano emergere a seguito della chiusura dei posti letto di day hospital».

Secondo l'indagine, il fenomeno delle malattie reumatiche deve essere affrontato con una presa in carico del paziente attraverso la costituzione di Percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (Pdta), che mettano in sinergia reumatologi territoriali e dei centri specialistici con i medici di medicina generale, offrendo più prestazioni ai pazienti. «Attuare percorsi assistenziali standard porterebbe ad una migliore razionalizzazione dei servizi e ad un recupero di efficienza», conclude Lorenzo Mantovani, docente di Farmaco-Economia all'Università Federico II di Napoli. «Spesso questo processo porta anche ad identificare dei bisogni assistenziali non soddisfatti e la cui soddisfazione può far aumentare i costi, anche in misura maggiore rispetto ai risparmi generati dal recupero di efficienza in più. D'altra parte la qualità costa».