Il Servizio sanitario ha bisogno di 47 mila nuovi infermieri

Emergenza infinita

Il Servizio sanitario ha bisogno di 47 mila nuovi infermieri

di redazione
Turni di lavoro insostenibili per chi non è più giovane e troppi pazienti da seguire non garantiscono cure efficaci e sicure. Un’indagine Ipasvi fotografa le condizioni di lavoro degli infermieri regione per regione e lancia un appello: servono nuove leve

Mancano 47 mila infermieri per garantire un’assistenza sanitaria efficace e sicura. Lo denuncia la Federazione Ipasvi che ha fotografato Regione per Regione le condizioni di lavoro degli infermieri sul territorio nazionale. 

Dal 2009 al 2014 il Servizio sanitario nazionale ha perso quasi 7.500 infermieri pari al 2,21 per cento di forza lavoro. Le Regioni più colpite sono Campania, Lazio e Calabria che hanno dovuto rinunciare a 5.439 professionisti, il 72,5 per cento del totale. È andata bene solo ad Abruzzo, Lombardia, Marche e Sicilia che hanno registrato un lieve aumento (0,83 per cento in media) del personale. 

«Alla vigilia della nuova stagione contrattuale – spiega Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione  Ipasvi – questi dati dovrebbero far ragionare sia il legislatore che le Regioni ed essere utili come base di trattativa per i sindacati. La carenza è evidente, così come lo è la situazione difficile a livello generale, ma sicuramente  a rischio nelle Regioni in piano di rientro che rappresentano ormai a livello di popolazione oltre il 47 per cento dei cittadini italiani. Il nostro compito è di tutela della professione perché mantenga la sua dignità e soprattutto dei pazienti che si affidano a noi: sapere con cosa abbiamo a che fare è un buon inizio».

Ma l’indagine Ipasvi non si ferma al conteggio della forza lavoro mancante mostrando anche cosa accade agli infermieri rimasti al loro posto.

Si lavora di più e si guadagna di meno

Chi svolge questa professione ha visto negli ultimi cinque anni aumentare le difficoltà. A partire dalla riduzione della retribuzione che si è abbassata in valore assoluto di 70 euro, ma in termini di potere di acquisto almeno del 25 per cento. Inoltre, il rapporto infermieri/medici che dovrebbe essere di tre a uno, in alcune Regioni si ferma a malapena a due. I turni faticosi che mettono a dura prova la salute degli infermieri sono testimoniati, sempre nelle Regioni in piano di rientro, da un significativo aumento della spesa per gli straordinari che raggiunge punte anche di oltre il 4,5 per cento della retribuzione. E la cosa non stupisce:  dove il personale manca, chi è impiegato deve lavorare di più. Con non poche conseguenze. Secondo un recente studio Cergas Bocconi, tra le principali cause di inidoneità che colpiscono circa il 15 per cento degli infermieri, c’è la lo spostamento di pesi (quasi il 50%), le posture incongrue, lo stress e il burn out, il lavoro notturno e la reperibilità (queste voci rappresentano circa il 30%).

Le conseguenze per i pazienti

Tutto ciò si ripercuote anche sulla salute dei cittadini. Perché se è vero che la mortalità si riduce del 20 per cento se il numero di pazienti per infermiere passa da dieci a 6, il nostro paese deve stare attento: in Italia la proporzione media nazionale è di 12 pazienti per infermiere e sono poche le Regioni che riescono ascendere sotto i 10. 

In alcuni casi si arriva addirittura a 18 pazienti per infermiere. 

Dall’analisi Ipasvi emergono poi anche altri dati, come quello dell’età media dei professionisti:  gli infermieri over 50 – meno adatti a turni pesanti e a manovre rischiose per se stessi e i pazienti – pesano per il 69 per cento circa sugli infermieri fino a 65 anni di età. Eppure la popolazione italiana richiederebbe un’assistenza giovane e in forze:  i pazienti non autosufficienti, cronici e comunque fragili che hanno bisogno di assistenza continua sono oltre 16 milioni. Per fare fronte alle loro esigenze servirebbero 30mila infermieri “dedicati”, uno ogni 500 assistiti, che non dovrebbero essere coetanei delle persone che hanno in cura. 

La soluzione

«L’unica soluzione vera è – ribadisce Mangiacavalli - integrare gli organici con nuove leve». Ma per tamponare l’emergenza si possono immaginare soluzioni “placebo”, capaci di alleggerire momentaneamente la situazione nelle Regioni in piani di rientro. Come la “mobilità volontaria” che la legge concede, ma che aziende e Regioni “bloccano” non rilasciando i necessari nulla osta. A richiederla infatti sono soprattutto le Regioni del Sud commissariate e gli infermieri che per esigenze lavorative sono ormai anche a migliaia di chilometri da casa, che, per questo motivo, non riescono a tornare.  Nelle condizioni attuali del Servizio sanitario nazionale, le Regioni che ancora hanno un organico ai limiti dei requisiti organizzativi, fanno di tutto per mantenerlo tale e, quindi, rifiutano o quantomeno ignorano le domande di nulla osta per la mobilità. Al contrario, appunto, le Regioni sotto organico per i ripetuti blocchi di turn over tentano di incrementarlo, cercando soluzioni proprio con i bandi di mobilità extraregionali. 

«Appare evidente - si legge nel rapporto dell’Ipasvi- quindi che lo sblocco del turn e il reintegro degli organici non è più solo una richiesta legata all’organizzazione del lavoro, ma un’esigenza di salute sia per i cittadini che per gli operatori». 

Una soluzione potrebbe essere  quella di assumere part time al 50 per cento circa 9-10mila unità di personale: servirebbero a garantire l’effettiva copertura di organici rispetto agli attuali part time, consentirebbero di cominciare a formare nuove leve di professionisti riavviando il ricambio generazionale e avrebbero sicuramente costi inferiori nell’immediato a unità di personale full time.