Che fine ha fatto l’influenza?

L’ipotesi da rivedere

Che fine ha fatto l’influenza?

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Immagine: https://pixabay.com/en/users/Mojpe-885231/, CC0, via Wikimedia Commons
di redazione
Sembra sia in corso una tregua nella guerra dei virus. Le misure anti contagio per Covid-19 hanno rallentato la diffusione degli altri virus stagionali. E potrebbe non essere un bene per il sistema immunitario. I rinovirus però resistono più degli altri e forse tengono a distanza Sars-Cov-2

Che fine fa fatto l’influenza? Nell’emisfero meridionale, dove l’inverno è già finito, i virus stagionali sono passati del tutto inosservati. Pochissimi i contagi rispetto agli anni passati. Nei Paesi a nord dell’equatore dove generalmente in questo periodo inizia l’epidemia di infezioni stagionali i casi segnalati finora sono pochissimi. 

È probabile che le misure di contenimento del contagio utilizzate per la pandemia di Covid-19, mascherine, distanziamento sociale, igiene delle mani, limitazioni negli spostamenti ecc.., stiano limitando la circolazione anche degli altri virus. Per i virologi e gli epidemiologi l’occasione è irripetibile (o almeno si spera che lo sia): per la prima volta si ha l’opportunità di osservare come cambia la trasmissione dei virus stagionali in seguito all’adozione di specifiche misure sanitarie e di valutare l’impatto a lungo termine di una loro ridotta circolazione.

 

Un articolo su Nature propone una sintesi delle principali informazioni raccolte finora nel corso di questo inedito esperimento naturale. 

Si scopre, per esempio, che l’assenza degli altri virus non è così positiva come si poteva immaginare. 

Influenza, chi l’ha vista?

Alla fine della prima ondata di Covid-19 lo scorso maggio è stata osservata una brusca e precoce interruzione dell’influenza stagionale 2019-2020 nell’emisfero boreale. Il fenomeno non può essere attribuito esclusivamente alla riduzione delle diagnosi dovuta a un minore numero di accessi ospedalieri e di visite dai medici di famiglia. Deve avere influito anche l’adozione delle misure di contenimento della pandemia. Negli Stati Uniti, per esempio, la percentuale dei test positivi al virus dell'influenza è diminuita del 98 per cento mentre il numero dei test effettuati è  calato solo del 61 per cento. Secondo le stime dei Centers fo Disease Control an Prevention (CDC) degli Stati Uniti la stagione influenzale dello scorso inverno è stata di entità “moderata” con 38 milioni di persone contagiate e 22mila morti. Numeri molto inferiori a quelli degli anni precedenti. 

Al di sotto dell’equatore i virus stagionali sono stati una presenza ancora più silenziosa. Da aprile a luglio del 2020, durante la stagione invernale, in Australia, Cile e Sud Africa sono stati individuati solo 51 casi di influenza su 83mila test. In questo caso però la spiegazione deve essere un’altra. 

Non si può sostenere che tutto dipenda dall’uso delle mascherine e dal distanziamento sociale, perché in molti Paesi del Sud America che hanno registrato un calo sostanziale dei casi di influenza l’adozione di queste misure non è stata particolarmente rigida. C’è chi pensa, piuttosto, che abbia contato di più la riduzione drastica dei viaggi internazionali. E  poi va considerato l’aumento delle vaccinazioni per l’influenza.  In Australia, per esempio, lo scorso inverno sono stati somministrati più di 7,3 milioni di vaccini influenzali in confronto ai 4,5 milioni della stagione precedente e ai 3,5 milioni del 2018. 

Ridateci i vecchi virus

Ma siamo sicuri che la scomparsa dell’influenza, o comunque la sua apparizione in sordina, sia una buona notizia?

Se il virus influenzale non circola, potrebbe essere difficile individuare il ceppo giusto contro cui produrre il prossimo vaccino.   C’è anche il timore che un’influenza stagionale di entità lieve non sia in grado di assicurare quell’arsenale di difese immunitarie con cui poter respingere l’attacco di altri virus, come le eventuali nuove varianti dell’influenza suina.

Ma i virus influenzali non sono gli unici a essere stati messi in panchina dalla pandemia. Centinaia di altri virus responsabili di infezioni respiratorie, dal raffreddore alla parainfluenza, hanno seguito lo stesso destino e nei Paesi dove l’inverno è già alle spalle non si sono presentati al consueto appello di apertura della stagione fredda. 

In particolare, il grande assente di quest’anno è stato il virus respiratorio sinciziale (Rsv), un virus comune che in genere colpisce i bambini piccoli e che in alcuni casi può provocare condizioni gravi come la polmonite. Contro l’Rsv non esiste un vaccino e ogni anno le infezioni di cui è responsabile causano circa il 5 per cento dei decessi nei bambini sotto i cinque anni in tutto il mondo. Nell'Australia occidentale, l'RSV nei bambini è diminuito del 98 per cento (e l'influenza del 99,4%) durante l'inverno 2020, anche se le scuole erano aperte. Ma la tregua potrebbe durare poco.

Degli altri coronavirus responsabili del raffreddore sarebbe un bene non liberacene del tutto. Perché recentemente è stata avanzata l’ipotesi di un ruolo protettivo nei confronti del loro simile Sarrs-Cov-2 basato sul meccanismo dell’immunità crociata. 

L’eccezione che ci serviva

L’unico virus che non ha subito una drastica battuta d’arresto durante la pandemia è il rinovirus, il virus responsabile del raffreddore che può circolare in svariati ceppi all’interno di una stessa comunità. A cosa si deve la sua resistenza? Probabilmente alla  sua struttura. A differenza dei coronavirus e dei virus influenzali, i rinovirus non hanno un involucro lipidico che può essere rimosso con i saponi e gli igienizzanti. Si ipotizza quindi che i rinovirus possano essere più stabili e che resistendo più a lungo sulle superfici continuino a passare facilmente da un individuo a un altro.

La buona notizia è che le infezioni causate dai rinovirus sembrano avere qualche effetto protettivo nei confronti di Sars-CoV-2, forse perché attivano la risposta dell'interferone, una componente del sistema immunitario che inibisce la riproduzione virale. Secondo i risultati di un recente studio una persona affetta dall'infezione da rinovirus ha il 70 per  in meno di probabilità di contrarre anche una comune infezione da coronavirus o da Sars-Cov-2, rispetto a qualcuno che non ha i sintomi del raffreddore. Potrebbe darsi quindi che il rinovirus si imponga in maniera così massiccia sull’organismo da impedire ad altri virus di prendere il sopravvento.  Secondo i ricercatori della Yale School of Medicine di New Haven, in Connecticut, i rinovirus potrebbero aver ostacolato la diffusione dell’influenzale H1N1 del 2009. Gli adulti ricoverati avevano meno casi di coinfezione con entrambi i virus del previsto e  nelle colture cellulari, l'infezione da rinovirus impediva al virus H1N1 di infettare le cellule. Potrebbe forse accadere lo stesso nel caso del nuovo coronavirus che ha scatenato la pandemia? L’ipotesi è ancora da verificare. E l’esito di questa anomala guerra dei virus è ancora incerto.