I fondi sanitari si stanno mangiando il servizio sanitario

La denuncia Gimbe

I fondi sanitari si stanno mangiando il servizio sanitario

di redazione
I benefici per i sottoscrittori sono minimi: a guadagnarci sono le imprese, che risparmiano sul costo del lavoro, l’intermediazione finanziaria e assicurativa che genera profitti e la sanità privata che aumenta la produzione di prestazioni sanitarie

Si chiama integrativa, ma in realtà il suo nome dovrebbe essere sanità sostitutiva. 

Il 70% delle risorse che i fondi privati erogano per prestazioni sanitarie riguardano infatti prestazioni che sono ricomprese nei LEA (e di cui dunque i cittadini avrebbero comunque diritto). Meno di un terzo sono spese invece per prestazioni realmente integrative, per esempio l’odontoiatria o l’assistenza a lungo termine. 

È uno dei paradossi che la Fondazione GIMBE ha illustrato in un report dedicato alla sanità integrativa realizzato in occasione dell’indagine conoscitiva sui fondi sanitari annunciata dalla Commissione Affari Sociali della Camera. 

Da qualche tempo, a fronte di un pesante contingentamento dell’impegno pubblico in sanità, sta crescendo l’idea che il cosiddetto “secondo pilastro” (generato da un complicato intreccio tra fondi sanitari, assicurazioni e welfare aziendale) possa garantire la sostenibilità del servizio sanitario nazionale e allo stesso tempo preservare il diritto alla salute dei cittadini. 

Tuttavia, per la Fondazione GIMBE proprio l’espansione del “secondo pilastro” potrebbe essere tra le cause della crisi di sostenibilità del SSN. 

«Considerato che, dopo anni di silenzio politico la Commissione Affari Sociali della Camera ha annunciato l’avvio di un’indagine conoscitiva sulla sanità integrativa abbiamo realizzato un report indipendente da cui emerge l’inderogabile necessità di un riordino legislativo, in quanto i fondi sanitari sono diventati in prevalenza sostitutivi di prestazioni già offerte dal SSN», afferma il presidente della Fondazione GIMBE  Nino Cartabellotta. «In particolare le crepe di una normativa frammentata e incompleta hanno permesso all’intermediazione finanziaria e assicurativa di cavalcare l’onda del welfare aziendale, generando profitti grazie alle detrazioni fiscali di cui beneficiano i fondi sanitari e proponendo prestazioni che alimentano il consumismo sanitario e aumentano i rischi per la salute delle persone».

I dati parlano da sé.

Nel periodo 2010-2016 il numero dei fondi sanitari è aumentato da 255 a 323, con incremento sia del numero di iscritti (da 3.312.474 a 10.616.847), sia delle risorse impegnate (da € 1,61 a 2,33 miliardi). 

A saltare agli occhi sono tre fenomeni: innanzitutto, la percentuale delle risorse destinate a prestazioni realmente “integrative” rimane stabile intorno al 30%; in secondo luogo a fronte di un incremento medio annuo degli iscritti del 22,3%, quello delle risorse impegnate è del 6,4%: «sostanzialmente i fondi incassano sempre di più, ma rimborsano sempre meno»; afferma GIMBE. Infine, i fondi che intrattengono “relazioni” con compagnie assicurative sono passati dal 55% nel 2013 all’85% nel 2017.

Nel 2016 la spesa privata intermediata ammonta a € 5.600,8 milioni ed è sostenuta da varie tipologie di terzi paganti: € 3.830,8 milioni da fondi sanitari e polizze collettive, € 593 milioni da polizze assicurative individuali, € 576 milioni da istituzioni senza scopo di lucro e € 601 milioni da imprese. 

I fondi sanitari registrati all’anagrafe ministeriale sono 323 per un totale di 10.616.847 iscritti (73% lavoratori, 22% familiari e 5% pensionati). 

Non si conosce, però, né l’ammontare dei contributi versati dagli iscritti, né l’entità del mancato gettito per l’erario connesso alle agevolazioni fiscali, mentre sono noti i rimborsi effettuati dai fondi sanitari, pari a € 2,33 miliardi. 

Di queste risorse, quelle destinate a prestazioni integrative (es. odontoiatria, assistenza a lungo termine) sono poco più del 32%; quindi quasi il 70% delle risorse copre prestazioni già incluse nei LEA. 

«Un dato inconfutabile – puntualizza Cartabellotta – invita a frenare gli entusiasmi per i fondi sanitari: il 40-50% dei premi versati non si traducono in servizi per gli iscritti perché erosi da costi amministrativi, fondo di garanzia (o oneri di ri-assicurazione) e da eventuali utili di compagnie assicurative. A fronte della crescente bramosia sindacale e imprenditoriale per le varie forme di welfare aziendale, i fondi sanitari offrono dunque ai lavoratori dipendenti solo vantaggi marginali, mentre a beneficiare dei fondi sanitari sono le imprese che risparmiano sul costo del lavoro, l’intermediazione finanziaria e assicurativa che genera profitti e la sanità privata che aumenta la produzione di prestazioni sanitarie», dice ancora Cartabellotta.

“A beneficiare dei fondi sanitari sono le imprese che risparmiano sul costo del lavoro, l’intermediazione finanziaria e assicurativa che genera profitti e la sanità privata che aumenta la produzione di prestazioni sanitarie”

Non è tutto: nel report sono presenti anche tutti gli “effetti collaterali” dei fondi sanitari «che favoriscono la privatizzazione, generano iniquità e diseguaglianze, minano la sostenibilità, aumentano la spesa sanitaria delle famiglie e dello Stato, alimentano il consumismo sanitario tramite il sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie che possono anche danneggiare la salute delle persone, generano frammentazione dei percorsi assistenziali e compromettono una sana competizione tra gli operatori del settore», prosegue GIMBE.

«Le nostre analisi – conclude Cartabellotta – confermano che oggi le potenzialità della sanità integrativa sono compromesse da un’estrema deregulation che da un lato ha permesso ai fondi integrativi di diventare prevalentemente sostitutivi mantenendo le agevolazioni fiscali, dall’altro alle compagnie assicurative di intervenire come “ri-assicuratori” e gestori dei fondi in un contesto creato per enti no-profit».