“Siamo all’inizio della fine”. I progressi e le sfide della lotta al cancro

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“Siamo all’inizio della fine”. I progressi e le sfide della lotta al cancro

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Immagine: Eli Christman / Flickr (https://www.flickr.com/photos/gammaman/46554005402) [CC BY 2.0]
di redazione
Dai cambiamenti climatici, all'economia, dalla globalizzazione, ai diritti dei pazienti fino alla comunicazione. Il cancro, come l'intera salute, è qualcosa di complesso che non può essere affrontato solo dal punto di vista medico

“C’est le commencement de la fin”. È l’inizio della fine. 

La frase attribuita a Talleyrand, va interpretata in chiave benaugurante. Perché ciò a cui si vuole porre fine, in questo caso, è il cancro. Quel motto si prestava bene a descrivere l’impegno internazionale nella lotta al cancro inaugurato il 4 febbraio del 2000 con la firma della Carta di Parigi e con l’istituzione del World Cancer Day, la giornata mondiale del cancro fissata ogni anno per il 4 febbraio. E per questo era stato usato come “slogan” dagli scienziati che avevano avviato 22 anni fa la collaborazione tra Paesi di tutto il mondo sotto la guida dell’Union for International Cancer Control (UICC) per ridurre l’impatto dei tumori sulla salute. In Italia una delle principali protagoniste di questa mobilitazione globale contro il cancro è l’Associazione Italiana di Oncologia Medica che sfrutta come sempre l’occasione del World Cancer Day per parlare di oncologia da diverse prospettive, molte di queste inusuali se non addirittura inedite.

È così che nel convegno nazionale sulle sfide globali e il cancro organizzato da Aiom on line lo scorso 4 febbraio in occasione World Cancer Day, si è parlato di cambiamenti climatici, di economia, di globalizzazione, di biodiversità, di diritti dei pazienti e di comunicazione. Perché la salute è un sistema complesso che non può essere affrontato solo dal punto di vista medico. L’incontro ha incluso anche l’evento sui diritti delle persone che hanno superato la malattia (“Dottore sono guarito?”), organizzato da Fondazione Aiom.

«Ho molto apprezzato il taglio che Aiom ha dato al convegno. La scelta di inserire il cancro all’interno dello scenario più ampio dello sviluppo sostenibile senza limitarsi ai soli aspetti clinici è senz’altro da apprezzare. Oggi più che mai è necessario inserire la sfida del cancro all’interno della sfida che consiste nella realizzazione di sistemi sociali basati sulla One Health», ha dichiarato Silvio Brusaferro presidente dell’Istituto Superiore di Sanità in apertura del convegno. 

I numeri del cancro in Italia e nel mondo

Secondo le stime dell’International Agency Research on Cancer (IARC),  i casi di cancro nel mondo aumenteranno del 47 per cento nei prossimi 20 anni. Nel 2040 ci saranno 28,8 milioni di persone con una diagnosi di tumore, quasi il doppio di quelle attuali (19,3 milioni del 2020). Circa il 40 per cento dei nuovi casi di tumore e il 50 per cento delle morti per tumore sono potenzialmente prevenibili in quanto causate da fattori di rischio modificabili. E l’Italia, secondo le previsioni dell’Aiom, non farà eccezione. Entro il 2040 ci si aspetta che il numero di nuovi casi potrebbe crescere del 21 per cento. Colpa anche degli effetti indiretti della pandemia, con gli screening saltati, le visite mediche rimandate, le campagne di prevenzione sospese. 

«L’aumento dei casi di cancro è in parte dovuto all’aumento dell’indice di massa corporea e per questo l’Aiom sottolinea l’importanza dell’attività fisica,  in parte alla maggiore diffusione di alcune infezioni come quella da papillomavirus umano per cui esiste il vaccino. Ma non va trascurato anche il consumo di alcol, che sappiamo essere aumentato notevolmente durante la pandemia, e che è un fattore di rischio accertato. Così come lo è l’esposizione eccessiva alla radiazione ultravioletta. Intervenendo sullo stile di vita solamente in Italia si potrebbero evitare 60mila morti per cancro», ha dichiarato Saverio Cinieri, presidente nazionale AIOM. 

L’impatto della pandemia

Le percentuali descrivono il problema fino a un certo punto. Sapere che nel 2020, in Italia, le nuove diagnosi di neoplasia si sono ridotte dell’11 per cento rispetto al 2019, che i nuovi trattamenti farmacologici sono diminuit del 13 per cento e gli interventi chirurgici del 18 per cento, permette di farsi un’idea dell’entità del fenomeno, ma è quando si passa ai numeri assoluti che l’impatto di Covid-19 sulla gestione del cancro emerge in tutta la sua gravità. 

Rispetto al 2019, nel 2020 ci sono stati due milioni e mezzo di esami in meno per lo screening per il tumore della mammella, della cervice uterina e del colon retto. La stima delle diagnosi mancate è ancora più indicativa: oltre 3.300 per il tumore del seno, circa 1.300 per il colon-retto (e 7.474 adenomi in meno) e 2.782 lesioni precancerose della cervice uterina. 

«Le neoplasie, non rilevate nel 2020, ora stanno venendo alla luce, ma in stadi più avanzati e con prognosi peggiori rispetto al periodo precedente la pandemia. Inoltre, queste patologie presentano anche un carico tumorale maggiore, cioè metastasi diffuse, con quadri clinici che non vedevamo da tempo», spiega Cinieri. 

Il legame tra tumori e cambiamenti climatici

«Oggi sappiamo che fino al 40 per cento dei tumori potrebbe essere prevenuto migliorando gli stili di vita (smettendo di fumare, evitando il sovrappeso e mantenendo un alto livello di attività fisica). Ma si stima anche che il 16 per cento delle morti per cancro potrebbe essere attribuibile ad esposizioni ambientali. In questo senso i prossimi anni, in cui ci si augura che su scala globale si realizzi la cosiddetta transizione ecologica necessaria per salvare la terra, rappresentino una occasione anche per la prevenzione primaria del cancro, affinché gli interventi collettivi e individuali necessari per ridurre le emissioni di gas serra e il riscaldamento globale siano coerenti con le modifiche comportamentali che consentirebbero di ridurre l’incidenza e la mortalità per cancro», ha dichiarato Francesco Perrone, presidente eletto AIOM.

Esattamente tre anni fa, il 2 febbraio del 2019, veniva pubblicata  su Lancet la cosiddetta “dieta dell’Antropocene o dieta planetaria”, un regime alimentare pensato per favorire allo stesso tempo la salute dell’uomo e quella del pianeta. Messa a punto da 37 esperti di diverse discipline, la dieta indicata per il mondo e i suoi abitanti è stato un tentativo (imperfetto, a detta di alcuni per i costi economici elevati degli alimenti suggeriti), di doppia prevenzione per l’uomo e per l’ambiente. Una delle regole della dieta planetaria prevedeva di dimezzare il consumo di carne. Ed è comprensibile: meno carne vuol dire meno rischio di tumori, e meno allevamenti vuol dire meno inquinamento ma anche meno pericolo di zoonosi. 

«C’è un legame tra cambiamenti climatici e cancro di cui gli epidemiologi hanno cominciato a interessarsi negli ultimi tempi. L’alimentazione è sicuramente un fattore di rischio comune. Si stima che il 25 per cento delle emissioni di gas serra provenga dal settore alimentare e in particolare dagli allevamenti di bestiame. È superfluo ricordare gli effetti dell’inquinamento dell’aria sulla salute umana», dice Paolo Vineis, professore all’Imperial College di Londra e vice-presidente del Consiglio Superiore di Sanità. 

Ma di ragioni per cui la lotta al cambiamento climatico va di pari passo con la prevenzione del cancro ce ne sono altre. Basti pensare agli effetti che la perdita della biodiversità può avere sulla salute umana. «La biodiversità protegge da infezioni zoonotiche. E si sa che alcuni tipi di cancro possono essere scatenati da agenti infettivi. È risaputo che negli habitat dove la biodiversità è preservata e dove c’è una eterogeneità genetica si riduce il rischio di diffusione di patogeni pericolosi. Al contrario gli allevamenti di grandi dimensioni con animali omogenei possono diventare serbatoi di virus patogeni potenzialmente capaci di fare il salto di specie. La biodiversità inoltre è associata a una alimentazione più salutare». 

L’altro grande nemico comune dell’uomo e dell’ambiente è il tabacco. 

«Il fumo provoca il cancro ai polmoni, e la produzione di tabacco è una attività estremamente inquinante.  Secondo le stime, solo la Philip Morris immette in un anno 4,5 tonnellate di anidride carbonica», conclude Vineis.

 

Alcol e alimenti, le regole che mancano

Ci sono industrie con un riconosciuto impatto negativo sulla salute che sono sfuggite finora a una regolamentazione globale. Un settore rimasto del tutto fuori controllo è quello dell’alcol. 

«Durante la pandemia c’è stato un incremento esorbitante del consumo alcol con effetti sociali e sanitari considerevoli. È inspiegabile come mai l’acol, ritenuto responsabile del 4,1 per cento dei casi di tumore nel mondo, non sia ancora stato regolamentato a livello globale come è accaduto con il tabacco», ha dichiarato Nicoletta Dentico, responsabile del programma Salute Globale Society for International Development (SID). Un altro settore poco regolamentato è quello del cibo. 

«È sotto gli occhi di tutti la grave epidemia di obesità che sta colpendo soprattutto i giovani in tutto il mondo. Nel 2020, 39milioni di bambini sotto i 5 anni erano in sovrappeso e nel 2016 c’erano nel mondo 340 milioni di giovani  tra i 5 e i 19 sovrappeso o obesi. Siamo in un terreno minato in cui i diritti alla salute entrano in collisione con gli interessi commerciali. Ma non si può far finta che i questi problemi non esistano e non si può puntare tutto sulla buona volontà dei singoli individui invitandoli a cambiare lo stile di vita. Perché sappiamo bene che lo stile di vita è fortemente condizionato dall’industria», spiega Dentico. 

Dottore sono guarito? Si può parlare di guarigione in oncologia?

In Italia ci sono 3,6 milioni persone viventi dopo una diagnosi di tumore. Si tratta del 6 per cento della popolazione italiana, con un aumento del 36 per cento rispetto alle stime del 2010.

«Alla luce di questi numeri e dei progressi della medicina degli ultimi anni ha ancora senso considerare il cancro una malattia che non ha fine? Oggi abbiamo gli strumenti scientifici per poter affermare che una persona che ha avuto un tumore è guarita», afferma Paolo Tralongo, direttore Oncologia Medica, Ospedale Umberto I, Siracusa. 

Eppure si avverte ancora una resistenza da parte di alcuni medici a ad associare al cancro il termine “guarigione”. 

La tendenza è ancora quella di inserire tutti i pazienti che hanno superato la fase acuta della malattia nel calderone dei “sopravvissuti”, una macro categoria che non tiene conto delle differenze nell’aspettativa di vita dei diversi tipi di tumori

«Un uomo con un tumore al testicolo che non ha avuto ricadute dopo tre anni, non è un sopravvissuto è una persona guarita. Riconoscerlo è importante anche per organizzare la sorveglianza. Un paziente guarito non deve fare controlli periodici, il che è un vantaggio anche per le risorse del sistema sanitario. È necessario un cambio di paradigma, bisogna sostituire l’attuale categorizzazione della malattia in base alla biologia con una classificazione fatta in base alla fase della malattia: dovremmo distinguere tra paziente acuto, cronico, lungotermine o guarito», suggerisce Tralongo.

Ma quando si può dire che una persona è guarita dal cancro?  

«Con la Carta di Siracusa del 2016 un gruppo di oncologi ha proposto di considerare guarito un paziente il  cui rischio di morte per patologia oncologica non è superiore a quello della popolazione generale. Credo che continuare a considerare il cancro una malattia senza fine sia sbagliato. Il paziente che non rischia di morire più degli altri deve essere trattato come gli altri. Noi medici abbiamo la responsabilità di dare la vita ma anche di assicurare la dignità del vissuto», conclude Tralongo. 

La vita dopo il cancro

Un caso per tutti: una donna con una diagnosi di cancro pregressa in remissione perde le agevolazioni dovute alla malattia come lavoratrice perché considerata sana, ma non ha diritto di adottare un bambino perché non può essere condierata guarita. 

È un caso come tanti che descrive perfettamente la situazione paradossale in cui si vengono a trovare molte persone dopo il cancro. Lo ha raccontato Elisabetta Iannelli, segretario generale FAVO, nel suo intervento al convegno dell’Aiom. 

«La vita dopo il cancro è un labirinto pieno di ostacoli. Una diagnosi vecchia di 10 o anche 20 anni impedisce di ottenere prestiti in banca , di stipulare polizze assicurative, di avere i diritti di tutti gli altri. E la guarigione sociale va di pari passo con guarigione clinica. Per questo la  riabilitazione oncologica multidisciplinare è una  condizione indispensabile per una piena guarigione, anche sociale, dal cancro. Per porre fine alle disuguaglianze nell’accesso ai programmi di prevenzione, alla diagnosi, ai trattamenti e alla riabilitazione per migliorare la qualità di vita dei pazienti e delle persone guarite dal cancro, FAVO ha porpsoto la smart card del sopravvissuto al cancro che collega il paziente agli operatori sanitari per migliorare la comunicazione e il coordinamento sul follow-up medico», spiega Iannelli.

Il diritto all’oblio

Sono già quasi 6 mila le persone che hanno aderito alla campagna “Io non sono il mio tumore”, con una firma sul portale www.dirittoallobliotumori.org. Chiedono l’approvazione di una legge per il Diritto all’oblio oncologico, per assicurare alle persone guarite dal cancro o con malati cronica gli stessi diritti di chi non ha avuto una diagnosi di tumore. Parliamo della possibilità di stipulare un’assicurazione, di chiedere un mutuo, di adottare un bambino. 

«Siamo molto soddisfatti del numero di firme raggiunto in questi primi giorni, perché sottolinea l’interesse delle persone verso questa legge. In Italia, oggi, vivono 3,6 milioni di cittadini a cui è stato diagnosticato un tumore e circa 1 milione è guarito. Per loro vogliamo impegnarci a ottenere l’approvazione della norma. Ogni firma ricevuta è una storia, centinaia di persone ci hanno contattati per raccontarci le loro esperienze e denunciare le discriminazioni subìte», afferma Giordano Beretta, presidente di Fondazione AIOM. L’obiettivo dell’iniziativa è il raggiungimento di 100mila firme, che verranno portate al Presidente del Consiglio per chiedere l’approvazione della legge. Oggi, in Europa, già cinque Paesi hanno emanato la norma per il Diritto all’oblio oncologico: Francia, Lussemburgo, Belgio, Olanda e Portogallo.

«Con la legge per il diritto all’oblio le persone non sarebbero più considerate malate dopo 5 anni dal termine delle cure se la neoplasia è stata diagnosticata in età pediatrica e dopo 10 in caso sia insorta in età adulta. L’innovazione delle terapie permette oggi di curare molti tumori. Molti altri possono essere cronicizzati e garantire una vita lunga e di qualità. Cancro non significa più necessariamente “morte”: è quindi evidente la necessità di tutelare anche tutte le persone che terminano con successo un percorso di terapie», conclude Beretta. 

“Guerrieri e sopravvissuti”: le parole sono importanti 

Vincitori e vinti, nemici da combattere tirando fuori un coraggio da guerrieri, lotte, battaglie, guerre e così via. I termini presi in prestito dal lessico bellico non sono quelli giusti per descrivere le esperienze di malattia vissute dei pazienti. 

«C’è bisogno di un cambio di paradigma comunicativo. Si usano ancora parole in cui i pazienti non si riconoscono più.  Vorremmo che ci fosse un beep ogni volta che si pronunciano questi termini.  Cosa sigbifica vincere, cosa c’entra il coraggio? Così, oltre al peso della malattia, il paziente si sente investito anche del dover dimostrare di essere stato bravo. È arrivato il moneto di parlare del cancro per quello che è, una malattia da cui si può anche guarire e non una battaglia da combattere», dice Ornella Campanella presidente Associazione Abracadabra. 

Basterebbe abbandonare le metafore belliche e parlare del cancro così come lo descrive la scienza: una malattia come altre con possibilità di cronicizzazione. Il tumore non è il nemico da sconfiggere, vincere, annientare, ma una patologia da cui in alcuni casi si può anche guarire. 

«Vorremmo sentire di più termini come guarito e guarigione e meno quelli come battaglia, guerriero, sopravvissuto…», dice in conclusione Monica Forchetta  presidente Associazione APAIM.