Pressione alta? Chiedi al nefrologo

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Pressione alta? Chiedi al nefrologo

di redazione
O anche, in prima battuta, al medico di famiglia. A provocarla potrebbe essere un problema di insufficienza renale. Della quale oggi soffrono circa 5 milioni di italiani, di cui 50 mila in trattamento. Ma la dialisi peritoneale è ancora poco praticata nel nostro Paese

Che cos'hanno in comune il Messico e Hong Kong? Un numero: 80. Che è, approssimativamente, la percentuale dei pazienti in dialisi peritoneale rispetto al totale dei dializzati. Certo, le ragioni che sottostanno a questo denominatore comune sono diverse. Ma, forse, solo in apparenza. Perchè, in fin dei conti (già...), si tratta di soldi. La dialisi peritoneale, infatti, costa decisamente meno dell'emodialisi "tradizionale", cosicchè il Messico la privilegia perchè, in un certo senso, non può farne a meno, vista la situazione economica del Paese. A Hong Kong, che di problemi economici ne ha certamente meno, è invece, una scelta fatta perché comunque conviene, sia ai bilanci sia ai pazienti: e, allora, perchè rinunciarci?

Già, perchè? Forse per una non piena e diffusa consapevolezza della convenienza, economica e medica. Come accade, guarda caso, nel nostro Paese... Dove la dialisi peritoneale arriva a malapena al 9% dei dializzati.

Ovviamente, la faccenda non è così semplice. Proprio per discuterne i diversi aspetti e le criticità, in questi giorni (dal 20 al 22 marzo) circa 300 specialisti si incontrano a Montecatini terme al Congresso del Gruppo di studio di dialisi peritoneale.

Che la faccenda non sia così semplice lo dimostra, per tornare all'estero, il fatto che gli esiti della dialisi peritoneale siano ben diversi in Messico e a Hong Kong, con il Paese centramericano che non è purtroppo in grado di offrire a molti pazienti un futuro paragonabile a quello dei cittadini di Hong Kong, i quali possono ragionevolmente sperare in un trapianto di rene o nell'emodialisi quando la peritoneale non è o non è più praticabile.

D'altronde, ormai, si sta un po' ribaltando il paradigma tradizionale e i centri di eccellenza, anche da noi, sono non più solo quelli che possono offrire il meglio in termini di emodialisi, ma quelli che, oltre a questa, sono in grado di praticare anche la peritoneale.

Purtroppo, oggi nel nostro Paese le persone che possono beneficiare di questo trattamento, facilmente utilizzabile anche a casa senza bisogno dell'assistenza continua di personale medico o infermieristico, sono appena 4 mila circa sui quasi 50 mila dializzati e su 370 centri che potrebbero o dovrebbero offrirla, solo 240 sono in grado di farlo. Con costi economici e sociali esorbitanti: almeno 8-9 mila euro l'anno per ciascun paziente, ai quali se ne aggiungono quasi altrettanti solo per gli spostamenti (ogni tre giorni) da casa al centro dialisi e viceversa. E che potrebbero essere ridotti del 30 per cento almeno se la pratica venisse allargata a tutti coloro che potrebbero beneficiarne.

«La dialisi peritoneale domiciliare – spiega Roberto Corciulo, presidente del convegno di Montecatini terme, coordinatore del comitato scientifico del Gruppo di studio dialisi peritoneale, e nefrologo al Dipartimento di Nefrologia, dialisi e trapianto dell’Azienda ospedaliero-consorziale del Policlinico dell’Università di Bari – offre notevoli vantaggi rispetto alla terapia ospedaliera poiché non obbliga il paziente a raggiungere il Centro, magari distante dalla propria abitazione, consente di eseguire il trattamento anche in orari al di fuori di quelli lavorativi e non altera i ritmi della vita sociale, professionale e del tempo libero. Occorre dunque sensibilizzare medici, specializzandi, formazione universitaria, Istituzioni e Regioni alla migliore conoscenza non solo della problematica, ma anche dei benefici e delle eccellenze di cura disponibili per chi soffre di insufficienza renale cronica»”. Cioè qualcosa come cinque milioni di italiani (ai diversi stadi della malattia), gran parte dei quali, come osserva Giovanbattista Capasso, professore di Nefrologia alla Seconda università di Napoli e presidente della Società italiana di nefrologia, non sa nemmeno di averla perchè per lungo tempo la patologia non presenta sintomi evidenti.

Eppure «la malattia renale cronica – aggiunge Claudia Del Corso, responsabile Dialisi peritoneale della Usl 3 di Pistoia – è un problema di salute pubblica che sta diventando sempre più rilevante visti i tassi di incremento costante del 2-3% registrati negli ultimi anni e pare destinati a raddoppiare nel prossimo decennio. Questo è dovuto in parte all’allungamento della vita media, ma soprattutto all’impatto di due importanti patologie quali il diabete e l’ipertensione arteriosa».

Le quattro regole d’oro per salvaguardare i reni

L’insufficienza renale cronica, in taluni casi, può essere correlata anche ad abitudini e stili di vita sbagliati e/o alla poca attenzione a sottoporsi agli esami di screening utili a monitorare lo stato di salute dei reni.

Dagli esperti, ecco le quattro regole d’oro per allontanare il rischio di malattia renale:

1. Alimentazione: privilegiare una dieta bilanciata e varia;

2. Sodio: impostare diete a basso-moderato contenuto di sale, ricordando che il sodio, oltre che sulla tavola, è presente in forma nascosta anche in moltissimi alimenti di consumo quotidiano e di produzione industriale;

3. Controlli di laboratorio: è consigliato sottoporsi con regolare periodicità a esami di funzionalità renale e delle urine. In particolare richiedendo microproteinuria (nelle urine) e creatininemia (nel sangue);

4. Controllo della pressione arteriosa: l’ipertensione è riconosciuta come uno fra i principali fattori che possono contribuire all’insufficienza renale cronica. È pertanto fondamentale misurare con regolarità la pressione.

Qualora si rilevassero alterazioni delle urine o della funzionalità renale dagli esami di laboratorio, ma anche della pressione arteriosa, è bene rivolgersi al medico di famiglia che saprà indicare il centro o lo specialista nefrologo cui affidarsi, quale tutore della salute dei reni nel tempo.