Influenza, cattiva compagna dell'infarto

Medicina

Influenza, cattiva compagna dell'infarto

di redazione
Le possibili associazioni tra influenza e infarto. I rapporti tra infiammazione e malattia coronarica. Le patologie cardiache che segnalano malattie muscolari ereditarie. La morte improvvisa giovanile. Sono alcuni tra gli argomenti affrontati a Conosce e curare il cuore 2019 a Firenze

Sono ormai numerose le evidenze che indicano come l’influenza possa essere associata all’infarto miocardico acuto e che il vaccino influenzale potrebbe avere un ruolo nella prevenzione cardiovascolare. Il razionale fisiopatologico del rapporto che l'influenza può avere nell'infarto sta nel rilascio di citochine infiammatorie, rottura di placche aterosclerotiche e innesco di fenomeni pro-trombotici che possono causare l’occlusione di un’arteria coronaria. L’infezione influenzale, insomma,oltre a indurre una risposta infiammatoria sistemica, sembrerebbe avere un effetto infiammatorio diretto sulla placca aterosclerotica e sulle coronarie. Per contro, si stima che l'efficacia del vaccino antinfluenzale nella prevenzione dell'infarto miocardico acuto vada dal 15 al 45 per cento.

È stato questo uno tra i temi discussi a “Conoscere curare il cuore”, appuntamento che dal 28 febbraio al 3 marzo ha fatto incontrare a Firenze circa mille esperti nazionali e internazionali delle malattie che affliggono il nostro muscolo cardiaco.

Tra queste l’infiammazione, che in cardiologia si manifesta come infiammazione coronarica. Oggi questa può essere individuata in modo sistemico grazie a marker che misurano l’infiammazione del sangue. Esistono dati assai convincenti che dimostrano un collegamento tra le infezioni acute e i loro effetti diretti sulle placche aterosclerotiche. Infatti, le persone che muoiono a causa di infezioni acute sistemiche hanno un alto numero di macrofagi e cellule T nel grasso periavventiziale delle coronarie, rispetto alle persone morte senza infezione. «Grazie alle strategie di imaging intracoronarico ad alta risoluzione - commenta Francesco Prati, presidente della Fondazione Centro per la lotta contro l’infarto, che organizza il Congresso fiorentino – si è aperta una nuova prospettiva nello sviluppo delle tecniche di caratterizzazione della placca. L’OCT è l’unica tecnica intracoronarica disponibile sul mercato, in grado di individuare le placche mettendo a fuoco lo studio dell’infiammazione. Nel registro CLIMA si è vista, per la prima volta, una correlazione tra la presenza di macrofagi e un alto rischio di eventi cardiaci nel follow-up. Il gruppo dei macrofagi è stato osservato in circa metà dei casi e correlato ad un alto rischio di eventi avversi. L’imaging può rappresentare una nuova frontiera nella diagnosi dell’aterosclerosi con infiammazione. La PET è la tecnica più promettente per individuare e misurare l’infiammazione della grandi arterie come l’aorta e le carotidi». L’OCT si arricchirà tra poco con una nuova metodica che permetterà di studiare le cellule infiammatorie (macrofagi) della arterie coronarie del cuore con una precisione ancora maggiore: si tratta della fluorescenza intravascolare ad infrarossi. Questa «è probabilmente la metodica del futuro – prevede Prati - per studiare a fondo la vulnerabilità della placca e l’infiammazione coronarica. La localizzazione della fluorescenza dalle molecole è anche conosciuta come autofluorescenza ed è più vicina all’applicazione clinica perché può essere rivelata senza la somministrazione di agenti esogeni, non ancora approvati per uso umano».

Le patologie del cuore possono essere segnali predittivi di altro tipo di malattie: quelle muscolari ereditarie come le distrofinopatie e la mutazione del gene DMD.

Sintomi e segnali di queste patologie «possono manifestarsi in età pediatrica come anche in età adulta – spiega Eloisa Arbustini, Centre for Inherited Cardiovascular Diseases - e in molti casi solo un approccio clinico multidisciplinare può garantire corrette diagnosi e gestione». I cardiologi «potrebbero essere i primi a riconoscere un coinvolgimento, apparentemente isolato, di un difetto del cuore quale segnale clinico di malattie muscolari ereditarie – aggiunge - o essere in prima linea all’interno di un team multidisciplinare che ha in gestione l’evoluzione e la prognosi della patologia. La recente classificazione delle patologie muscolari ereditarie è basata su fenotipi, eziologia e patologia e può risultare complessa per i cardiologi. Per facilitare l’approccio, si propone invece di classificare tali patologie sulla base dei più comuni sintomi che riguardano in cuore». Le più comuni tra le patologie muscolari ereditarie che coinvolgono il cuore sono le distrofinopatie e la mutazione del gene DMD. I pazienti affetti da difetti della distrofina manifestano una cardiomiopatia dilatativa come unico e spesso fatale fenotipo cardiaco. Tale patologia è clinicamente eterogenea e classificata in base alla severità della distrofia o in base all’esclusivo coinvolgimento del cuore, laddove l’apparato muscolo scheletrico sia clinicamente risparmiato. La cardiomiopatia dilatativa è una distrofia muscolare clinicamente e geneticamente diagnosticata in età pediatrica. Distrofia di Erb, Distrofia muscolare Emery-Dreifuss (EDMD), cardiomiopatia ipertrofica e miopatie mitocondriali sono le altre patologie del cuore che si manifestano nelle malattie muscolari ereditarie.

Un argomento spesso sulle pagine di cronaca sportiva e non solo è la morte improvvisa nei giovani e negli atleti, che presenta un tasso di 1/100.000/anno e nell’80-85% dei casi ha origine cardiovascolare. Lo sforzo fisico «è un fattore scatenante – sottolinea Claudio Borghi, professore di Scienze mediche e chirurgiche dell’Università di Bologna – con un rischio tre volte maggiore negli atleti rispetto ai non atleti». L’esercizio fisico svolto con regolarità e continuità può proteggere dal rischio di morte improvvisa, «ma ne può aumentare il rischio – precisa Borghi - se vi è una patologia occulta che viene smascherata durante lo sforzo. Le cause più frequenti di morte improvvisa nei giovani possono essere la lacerazione dell'aorta, l'aterosclerosi coronarica, anomalie congenite delle arterie coronariche, cardiomiopatie, malattie delle valvole, disturbi del sistema di conduzione, malattie dei canali ionici». L’ischemia «spesso non dà alterazioni all’elettrocardiogramma a riposo e sotto sforzo – ricorda lo specialista - quindi il giovane atleta può ottenere l’idoneità sportiva. Solo l’impiego di tecniche di imaging non invasive per lo studio dell’albero coronarico, ad esempio la Risonanza magnetica o la Tomografia computerizzata, può aiutare a identificare i soggetti a rischio».