Maschi italiani malati di “malasessualità”

Il buco nero

Maschi italiani malati di “malasessualità”

di redazione
Nessuno che li segua dall’adolescenza all’età adulta inoltrata. Un tempo troppo lungo, in cui le deviazioni della sessualità che possono sviluppassi non incontrano alcun freno

Una voragine di almeno trent'anni da quando, quattordicenni, i maschi italiani vengono (per legge) abbandonati dal pediatra fino all'età adulta inoltrata, quando cominciano ad accusare i primi disturbi e si rivolgono (ma non tutti e non sempre) al medico. È soprattutto in questo lungo periodo che maturano le deviazioni della sessualità maschile che si traducono in fenomeni ed episodi che poi leggiamo o ascoltiamo sui media, dallo stalking allo stupro (magari “in branco”), tanto per intenderci con un paio di esempi. E non ci sono misure repressive o dissuasive che tengano: troppo spesso, come si usa dire, le porte della stalla vengono chiuse quando i buoi sono ormai fuggiti; quasi mai c'è qualcuno che avverta di ciò che sta accadendo. A differenza delle donne, infatti, gli uomini italiani non hanno, tradizionalmente, una “sentinella” che li metta in guardia da eventuali problemi, fisici ma non solo, a cui la loro sfera sessuale può andare incontro. Soprattutto dopo l'abolizione della leva obbligatoria, che li faceva passare per una visita medica che qualche anomalia poteva coglierla. I maschi italiani, insomma, non hanno una figura come la madre per le ragazze (e non di rado, quando serve, anche per i ragazzi... Per carità, non il padre!), un “ginecologo al maschile” al quale rivolgersi. 

O, meglio, lo avrebbero. Ma la loro forma mentis impedisce di vederlo. Non da oggi, infatti, gli urologi italiani si propongono per assumere quel ruolo e funzione che per le donne hanno il ginecologo e la ginecologa.

Di tutto questo (e altro ancora) si è parlato in un incontro a Firenze, alla vigilia del Congresso nazionale della Società italiana di urologia, che dal 27 al 29 settembre vede incontrarsi nel capoluogo toscano quasi 1.500 specialisti da tutta Italia e non solo.

Per l'occasione, la Siu presenta anche i risultati di un’indagine condotta dal nuovo Osservatorio “Pianeta Uomo”, coordinato da Giuseppe Morgia, professore di Urologia al policlinico universitario di Catania, nella quale sono stati coinvolti mille maschi italiani over 40 per studiare le loro conoscenze, esperienze e preoccupazioni in materia di disfunzione erettile e ipertrofia prostatica benigna.

I risultati mostrano innanzitutto che si tratta di due problemi purtroppo frequenti: un uomo su dieci soffre di disfunzione erettile, in un caso su due accompagnata da una prostata ingrossata, mentre l'ipertrofia della ghiandola riguarda il 16 % della popolazione. Solo un maschio su quattro, però, pensa che la disfunzione erettile sia una vera e propria malattia e uno su tre la ritiene una conseguenza normale dell'età che avanza. La conseguenza è che spesso viene vissuta con rassegnazione, imbarazzo e preoccupazione, arrendendosi di fronte alle conseguenze negative sulla vita personale e di coppia. Anche l'ipertrofia prostatica è considerata un'inevitabile conseguenza dell'età, ma in questo caso quattro su dieci la considerano una vera patologia: più preoccupati che depressi o imbarazzati, ritengono che la prostata ingrossata incida sulla loro qualità di vita più di malattie come il diabete, l'ipertensione o la gastrite.

Paradossalmente, la percentuale di chi sa che la disfunzione erettile è una malattia scende ulteriormente tra chi ne soffre: «Meno di un paziente su cinque pensa che il suo disturbo richieda terapie - osserva Vincenzo Mirone, segretario generale della Siu - e il 30% crede sia semplicemente una conseguenza dell'età». Anche tra chi ha la prostata ingrossata scende la consapevolezza scende e meno di un paziente su tre la ritiene “degna” di cure. Tutto questo, dice Mirone, sta a indicare che «si tratta di due problemi sottovalutati da chi ne è colpito e ciò può portare a non ricorrere a trattamenti che potrebbero migliorare molto la qualità di vita». Si tratta infatti di malattie che incidono sulla quotidianità di chi ne soffre: per esempio, la maggioranza dei pazienti si sveglia almeno un paio di volte per notte, quattro giorni su sette.

«Si tratta di due patologie tuttora affrontate in maniera inadeguata dagli uomini – sottolinea dunque il segretario della Siu - seppure per motivi e in modi diversi: l'ipertrofia è considerata una malattia e quindi affrontata più “a viso aperto”, ma incide moltissimo sulla qualità di vita e preoccupa moltissimo i pazienti; la disfunzione erettile, invece, è ancora una patologia da tacere spesso perfino con se stessi, senza ammettere che sia un problema».

Perciò, come aggiunge Mirone, è importante aumentare l'informazione dei pazienti: uno su tre ha tratto le proprie conoscenze dalla televisione, dai giornali o da internet; contro il 12% dei pazienti con ipertrofia prostatica, che più spesso chiedono al medico o al farmacista. In entrambi i casi, c'è un 10% di pazienti che non sa che oggi esistono terapie semplici ed efficaci per la propria malattia.

«L'importante – conclude quindi Mirone - è che il medico diventi il “tutor” del paziente: è stato infatti dimostrato che gli uomini, se vengono seguiti e sostenuti dal proprio medico, sono soddisfatti delle cure, non le abbandonano e trovano finalmente una soluzione per i loro problemi tornando a una buona qualità di vita».