Farmaci generici: tra opportunità e falsi miti
Il linguaggio comune continua a chiamarli “generici”. Ma una legge dal 2005 gli ha riconosciuto il titolo di “equivalenti”. Stiamo parlando di quei farmaci pronti a candidarsi come sostituti di un medicinale “originatore” di cui è scaduto il brevetto. Il principio attivo è lo stesso e viene assimilato dall’organismo nella stessa quantità e alla stessa velocità, o meglio, senza differenze che possano incidere sull'efficacia o la sicurezza. Ma il prezzo è inferiore di almeno il 20 per cento rispetto al modello di partenza. Per conoscerli più da vicino, apprezzarne i vantaggi e sfatare i falsi miti che li circondano, Whin (Web Health Informatione Network), Istituto superiore di sanità, Federazione nazionale della stampa italiana hanno organizzato il 15 giugno a Roma un corso di aggiornamento per giornalisti. Una giornata per raccontare, dati alla mano, il mondo dei farmaci equivalenti nei suoi diversi aspetti.
Il mercato dei generici - Farmacie
La loro presenza sul mercato è in lento ma costante aumento, come dimostra l’ultimo rapporto del Centro studi di Assogenerici, l'Associazione delle imprese del settore. Il trend di crescita si deve anche alle scadenze brevettuali di una serie di farmaci avvenuta nella seconda metà del 2017.
Dall’analisi sui trend del mercato italiano nel primo trimestre del 2018 emerge che i farmaci generici equivalenti si aggiudicano il 21,72 per cento del totale del mercato farmaceutico a volumi nel canale delle farmacie aperte al pubblico (era il 20,88% nel primo trimestre 2017) e il 12,7% a valori (era l’11,6% nel primo trimestre 2017).
Complessivamente, il mercato dei generici equivalenti vale circa 1,8 miliardi in prezzi ex factory, assorbendo il 17 per cento del mercato farmaceutico nazionale complessivo, pari a circa 10,5 miliardi di euro (sempre in prezzi ex factory). Il contributo maggiore è dato dai farmaci di classe A (con un fatturato totale di 1,4 miliardi) che rappresentato l’78,6 per cento del totale della spesa per farmaci generici (l’89,5% a confezioni). I farmaci equivalenti di classe C, rappresentando il 2 per cento delle confezioni vendute nella relativa classe, ottengono performance molto diverse, con appena 253 milioni euro di fatturato (14,2% del proprio giro d’affari). Nel ramo dell’automedicazione, per esempio, si arriva solamente a 22 milioni di euro di fatturato (1,2% del fatturato equivalente complessivo e 0,2% del giro d’affari della relativa classe).
Il destino dei generici può essere molto diverso a seconda del luogo di’Italia in cui vengono distribuiti. Al Sud rischiano di rimanere negli scaffali delle farmacie, mentre al Nord hanno maggiori probabilità di essere acquistati.
Lo scenario descritto dal rapporto di Assogenerici per gli equivalenti di classe A è eloquente: al Nord si hanno i consumi maggiori (36,2% a unità, 26,8% a valori) e man mano che si scende lungo lo Stivale la fiducia nei generici diminuisce, passando dalla accoglienza tiepida del Centro (26,4%; 19,8%) a quella più fredda del Sud (21,1%; 15,7%). A separare Nord e Sud ci sono 15 punti percentuali a unità e 11 punti percentuali a valori. A un estremo c’è la provincia autonoma di Trento con il 42,2 per cento sul totale delle unità dispensate dal Ssn nel periodo gennaio–marzo, all’altro ci sono la Calabria (19,1% contro 18,2% del 2017), la Basilicata (19,5% contro 18,3%), Campania e Sicilia (20,7% contro 19,8% per entrambe). cd888
Il mercato dei generici - Ospedali
«Ancora troppo fumo e pochissimo arrosto nel mercato ospedaliero degli equivalenti». Così Assogenerici descrive la diffusione dei generici nelle strutture ospedaliere. «A dominare il mercato ospedaliero - si legge nel Rapporto - sono ancora i prodotti in esclusiva (protetti da brevetto o privi di generico corrispondente), che assorbono il 39,5 a unità e il 92,9 per cento a valori (prezzo medio), tallonati almeno a unità dai brand a brevetto scaduto che tuttavia con una quota pari al 34,8 per cento del canale assorbono appena il 5,1 per cento a valori».
Gli unici trend di crescita, ma si tratta di un leggero rialzo, riguardano gli equivalenti di classe A e H (25,7% a volumi contro il 23,8% del primo trimestre 2017).
Il mercato ospedaliero resta ancora poco permeabile ai generici. «Le gare al ribasso - dice Fabrizio Gianfrante, docente di Economia sanitaria all’Università di Ferrara - restano il principale fattore condizionante, riducendo il differenziale tra branded off–patent e generico, con il primo spesso a beneficiare di strategie negoziali a livello locale che includono il coinvolgimento di altri prodotti del portafoglio della stessa industria».
Un po' di chiarezza
«Un farmaco è definito equivalente (terapeutico) a un altro nel caso in cui sia soddisfatta sia l’equivalenza farmaceutica che la bioequivalenza» spiega Gianluca Trifirò, professore di Farmacologia all’Università di Messina, tra i relatori del corso sui generici.
L’equivalenza farmaceutica viene soddisfatta quando i due preparati, il farmaco originatore e l’equivalente, contengono lo stesso principio attivo nella stessa quantità e nella stessa forma farmaceutica. La bioequivalenza invece viene valuta sulla velocità con cui il principio attivo si distribuisce nell’organismo e sulla quantità assorbita. Se il farmaco equivalente mostra gli stessi valori dell’originale, la bioquivalenza è accertata.
«I farmaci equivalenti - assicura Trifirò - rappresentano una valida opportunità di risparmio economico in sanità, necessaria per facilitare l’utilizzo crescente di farmaci innovativi».
Quando scade il brevetto di un farmaco, chiunque abbia mezzi e competenze necessari può produrre e mettere in vendita un medicinale equivalente all’originatore. Ovviamente, previa autorizzazione dell’Ema, per l’Europa, o dell’Aifa, per l’Italia che ne verificherà l’equivalenza.
I costi di un farmaco equivalente sono più bassi rispetto a quelli necessari a realizzare un farmaco tradizionale. Il risparmio è dato dalla possibilità di saltare la lunga e dispendiosa fase sperimentale per dimostrare efficacia e sicurezza del prodotto sull’uomo trattandosi di un principio attivo già noto da oltre vent’anni e che ha ampiamente superato tutti i test dell’iter di valutazione.
Per questo il costo dell’equivalente è per legge inferiore di almeno il 20 per cento rispetto a quello dell’originatore. Il farmacista ha la possibilità di proporre la sostituzione del medicinale prescritto con quello equivalente di prezzo più basso. I farmaci equivalenti sono rimborsati dal Ssn alle stesse condizioni usate per i farmaci di riferimento.
C’è da fidarsi?
«Negli Stati Uniti - racconta Trifirò - il 90 per cento circa delle prescrizioni riguardano i farmaci equivalenti, mentre tale percentuale in Italia è decisamente inferiore con rilevanti eterogeneità tra le varie Regioni e tra le varie classi terapeutiche».
In sostanza gli italiani dubitano ancora della reale efficacia dei generici. E di fronte alla possibilità di scegliere, restano convinti che la strada vecchia e conosciuta sia meglio della nuova e meno nota.
«Tra le inesattezze o falsità in termini di sottostima - specifica Carla Bruschelli, medico di famiglia e comunicatore, consigliere della Società italiana di medicina interna - l'idea che un prodotto "generico" sia per questa aspecificità meno efficace di un brand o che risulti di minore qualità per il più basso costo; che possa trattarsi di farmaci potenzialmente tossici per produzione con materie prime provenienti da Paesi in via di sviluppo e che non vi siano sufficienti controlli di qualità e sicurezza; in ultimo che il concetto di equivalente non corrisponda al principio attivo farmacologicamente. A questi quesiti rispondono ampiamente la Guida Aifa sui farmaci generici e il sito Iss salute antibufale alla voce Farmaci generici».
Gli studi scientifici però dovrebbero incoraggiare la fiducia negli equivalenti.
Un’analisi retrospettiva di 2.070 studi che hanno confrontato i parametri indicativi della bioequivalenza (concentrazione plasmatica del principio attivo e assorbimento del farmaco) tra i farmaci equivalenti e quelli di “marca” approvati dalla Food and Drug Administration tra il 1996 ed il 2007 non lascia molti dubbi: nel 95 per cento dei casi la bioequivalenza è garantita, con valori anche al di sopra di quelli richiesti dagli enti regolatori.
«Studi di real world - ribadisce Trifirò - hanno confermato che il profilo beneficio-rischio tra farmaci equivalenti e branded è comparabile così come lo è la persitenza e l’aderenza alla terapia in caso di farmaci cronici».
Insomma, l’equivalente è un’alternativa che merita di essere presa seriamente in considerazione.
Va ricordato, infatti, che un farmaco equivalente è sottoposto a controlli analoghi a quelli previsti per i farmaci di marca.
«Per ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio - ricorda Luisa Valvo, dirigente di ricerca del Centro nazionale per il controllo e la valutazione dei farmaci dell’Iss - un medicinale equivalente, come qualsiasi altro medicinale, innovativo o di marca, deve possedere tre prerequisiti: qualità, sicurezza ed efficacia. Deve, pertanto, soddisfare gli stessi standard del medicinale da cui origina (medicinale di riferimento o originatore): ciò significa che i procedimenti adottati per la sua produzione e per il controllo di qualità devono rispettare tutti i principi e le linee guida delle norme di buona fabbricazione, al pari degli altri medicinali».
Una volta entrato in commercio il prodotto resta sotto stretta sorveglianza per tutta la vita.
«In Italia i controlli analitici post-marketing - spiega Valvo - sono eseguiti dai laboratori dell’Istituto superiore di sanità nell’ambito del Programma annuale di controllo (Pca) su medicinali prelevati sul territorio dai Carabinieri Nas per verificare che rispondano ai requisiti di qualità autorizzati al momento della registrazione». I riflettori sui farmaci, equivalenti o meno, restano sempre accesi.
I vantaggi per il Ssn
Risorse limitate, crescente domanda assistenziale e aumento del costo dei servizi, farmaci in primis. Sono queste le principali sfide che deve affrontare un servizio sanitario, come il nostro, basato su principi universalistici che si ripromette di garantire a tutti i pazienti cure della stessa qualità.
In questo scenario è fondamentale recuperare le risorse laddove possibile. «Una possibilità concreta in tal senso - dice Patrizia Popoli direttore del Centro nazionale ricerca e valutazione preclinica e clinica dei farmaci dell’Iss - rappresentata dall’utilizzo dei farmaci generici (o per meglio dire equivalenti) in alternativa alle molecole “di marca”. I farmaci equivalenti, infatti, offrono le stesse garanzie di efficacia e sicurezza dei farmaci originatori, ma sono forniti a prezzi concorrenziali in quanto le aziende produttrici non hanno dovuto sostenere i costi della ricerca. Perché questo possa rappresentare uno strumento efficace di risparmio, tuttavia, è indispensabile superare la diffidenza che i pazienti, e addirittura i medici, ancora troppo spesso nutrono nei confronti dei farmaci generici».
L’importanza dell’informazione
«L’ingresso dei farmaci equivalenti - ricorda Luigi Santoiemma, medico di medicina generale, Area nazionale del farmaco della SocietàiItaliana di medicina Generale - rappresentava un momento importante che avrebbe necessitato di una fase preliminare, fondamentale, di condivisione con gli utilizzatori principali: pazienti e classe medica e, nell’ambito di quest’ultima, soprattutto i medici di medicina generale».
Ma così non è stato. «Non ci sono state campagne di informazione per i cittadini - fa notare Santoiemma - e per molto tempo gli unici portatori di informazione medica sono state le aziende farmaceutiche produttrici di originator, ovvero le stesse che non avevano interesse a sostenere una crescita rapida e consapevole del farmaco equivalente».
Non solo. Spesso la fonte di informazione più consultata dai pazienti è anche quella meno affidabile, ovvero Internet e i social network dove nel migliore dei casi si trovano consigli poco utili e nel peggiore vere e proprie bufale che possono fare danni alla salute.
«Ormai non è più procrastinabile fissare regole specifiche per l’informazione medico-scientifica in Rete e sui social - avverte Mario Pappagallo, giornalista vicepresidente Whin (Web Health Infromation Network) - in grande maggioranza proposta da chi non è sottoposto a regole deontologiche ordinistiche. Dibattere il tema è urgente, proporre e attivare soluzioni ancor di più. Occorrerebbe una Carta dell’informazione digitale in genere, ancor più riguardo ai temi medico scientifici. Ricordando semplicemente quanto fa la differenza tra i giornalisti e gli altri: verifica delle fonti e della notizia, il rischio di essere querelati (cosa che non avviene mai per quanto circola sul web), obbligare chi scrive a mettere il proprio nome e cognome (responsabilità) e non nickname che tutelano l’anonimato di chi scrive, applicare sempre la regola base del giornalismo che prevede testi che rispondano a cinque W; in italiano: perché, chi o cosa, dove, quando, come».