Tessuto bronchiale, a ripararlo ci pensano le staminali

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Tessuto bronchiale, a ripararlo ci pensano le staminali

di redazione
Sul New England Journal of Medicine i risultati del primo intervento mai realizzato di riparazione del tessuto bronchiale con le staminali. Ad effettuarlo i ricercatori dell'Istituto europeo di oncologia con l'Università statale di Milano e Cell Factory-Fondazione Ca' Granda Policlinico di Milano

I ricercatori dell'Istituto europeo di Oncologia di Milano hanno effettuato per la prima volta una riparazione del tessuto bronchiale con cellule staminali. I risultati dell'intervento, che ha permesso la guarigione di un 40enne affetto da fistola bronchiale post-chirurgica in seguito all'asportazione del polmone destro, sono stati pubblicati sul New england journal of medicine e, secondo il team di ricerca, decretano in modo definitivo il passaggio dal laboratorio alla clinica delle cellule staminali. La tecnica utilizzata è stata sviluppata da Francesco Petrella, vice direttore della divisione di Chirurgia toracica dell'Ieo in collaborazione con la Cell Factory della Fondazione Ca' Granda Policlinico di Milano e con Fabio Acocella del dipartimento di Scienze veterinarie per la salute, la produzione animale e la sicurezza alimentare dell'Università Statale, che ha sviluppato la fase di ricerca pre-clinica su modello animale.

«Abbiamo prelevato le cellule staminali adulte mesenchimali dal midollo osseo del paziente, un giovane di 42 anni sottoposto all'asportazione del polmone destro per mesotelioma pleurico», spiega Petrella. «Le abbiamo espanse e poi inoculate tramite una metodica mininvasiva, la broncoscopia flessibile, nell'area del bronco dove si era creata una fistola post-chirurgica, una sorta di "ferita aperta" tra il bronco e il cavo pleurico, dovuta alla mancata cicatrizzazione fisiologica che normalmente avviene dopo la chirurgia. La metodica si è rivelata efficace nello stimolare la cicatrizzazione del bronco, evitando così altri interventi invalidanti. Oggi, a otto mesi dal trapianto di staminali, il paziente sta bene e non ha avuto recidive».

«Per quanto ad oggi conosciamo sulle cellule staminali mesenchimali sappiamo che sono in grado di migrare ed attecchire nelle aree di infiammazione e di danno ai tessuti», continua Petrella. «Una volta impiantate nel sito bersaglio da curare, nel nostro caso la fistola bronchiale, le cellule staminali mesenchimali hanno la capacità di instaurare un contatto con il microambiente cellulare circostante, fenomeno definito in termini tecnici "cross-talk", che consente un processo di riparazione e/o rigenerazione, con graduale ripristino delle funzioni danneggiate».

La tecnica clinica sviluppata allo Ieo è l'esito di un precedente studio sperimentale, condotto insieme all'Università statale di Milano e pubblicato lo scorso anno su Annals of thoracic surgery, la rivista americana di riferimento per la comunità dei chirurghi toracici, e il gruppo milanese ha seguito tutte le procedure di autorizzazione richieste dall'Aifa per l'utilizzo delle staminali nell'uomo.

«Da decine di anni la letteratura mondiale propone soluzioni invasive per risolvere il grave difetto di cicatrizzazione della fistola post-chirurgica che si produce in circa l'8% dei casi di pneumonectomia e nel 3% dei casi di lobectomia, e può essere letale», dichiara Lorenzo Spaggiari, a capo della divisione di Chirurgia toracica dello Ieo. «Fino ad oggi noi chirurghi siamo stati costretti ad intervenire su malati già provati dalla chirurgia, con metodiche di salvataggio invalidanti, che possono richiedere medicazioni quotidiane anche per anni. Per questo siamo entusiasti di aver dimostrato clinicamente che le staminali adulte possono indurre una riparazione "naturale", contribuendo ulteriormente allo sviluppo delle tecniche del trapianto del bronco e anche della trachea. Il trapianto con staminali infatti non crea rigetto».

Il passo successivo per i ricercatori sarà quello di creare un protocollo di studio e dare il via a una ricerca clinica di fase uno per poter diffondere la metodica alla pratica clinica. «Sono necessari approfondimenti, studi e protocolli sia clinici che sperimentali prima che possa diventare standard. In futuro pensiamo di estendere i risultati ottenuti sulle vie aeree anche ad altri distretti anatomici», conclude Spaggiari.