Gli effetti sul cervello di Covid-19. Quel che sappiamo finora
Man_undergoes_a_COVID-19_swab_test_C.jpg

La perdita dell’olfatto è stato il primo sintomo anomalo di Covid-19.
Cosa c’entra una disfunzione neurologica con una malattia che colpisce prevalentemente l’apparato respiratorio? Poi si sono aggiunte altre manifestazioni impreviste che coinvolgevano sempre il sistema nervoso centrale: mal di testa, confusione, allucinazioni, delirio, disturbi del sonno e disagio psichico come ansia, depressione.
Si è così compreso che il virus Sars-Cov-2 può avere un impatto anche sul cervello. E dopo più di un anno e mezzo di pandemia gli scienziati cominciano ad avare elementi sufficienti per formulare le prime ipotesi, ma non ancora teorie certe.
I casi sono tanti
All’inizio della pandemia sembravano pochi casi isolati. I dati recenti invece dicono che il fenomeno è molto più diffuso: secondo uno studio su The Lancet Psychiatry condotto su 236mila pazienti guariti da Covid-19, una persona su tre riceve una diagnosi di disturbo neurologico o psichiatrico nei 6 mesi successivi all’infezione.
Gli autori di quello studio avevano individuato 14 disturbi più frequenti che vanno dalle malattie mentali, come ansia o depressione, a disturbi neurologici come ictus o emorragia cerebrale.
C’è da dire che la presenza di ansia o depressione non stupisce più di tanto. Si tratta di stati d’animo molto diffusi tra la popolazione generale e ancora più comprensibili in pazienti colpiti dall’infezione. Basti pensare che circa un terzo dei ricoverati in terapia intensiva sviluppa un disturbo post traumatico da stress dovuto all’esperienza ospedaliera.
Meno scontato è il rischio di ictus tra chi ha avuto Covid-19.
Eppure, secondo i dati epidemiologici raccolti dagli autori dello studio su Lancet Psychiatry, un paziente su 50 ha avuto un ictus e l’incidenza sale a 1 su 11 tra i pazienti che manifestano delirio o altre condizioni alterate del cervello. Ma la correlazione tra l’infezione e i danni al cervello non è stata dimostrata con certezza e non è stato individuato il meccanismo con cui il virus colpirebbe il cervello.
L’attenzione sui vasi sanguigni
L’inquietante ipotesi avanzata inizialmente secondo la quale il virus entrerebbe direttamente nel cervello attraverso il nervo olfattivo fortunatamente è stata scartata. L’ “attacco al cervello” non avviene in maniera diretta, altrimenti si troverebbero tracce del virus nei tessuti cerebrali dei pazienti, cosa che non si verifica quasi mai.
È più probabile invece che il virus si diffonda attraverso i vasi sanguigni. Almeno questa è l’ipotesi su cui hanno deciso di investire le loro ricerche i neurologi del National Institutes of Health di Bethesda guidati da Avindra Nath. Nath e i colleghi hanno analizzato i vasi sanguigni dei cervelli di persone decedute che avevano contratto l’infezione da Sars-Cov-2. Per ottenere immagini ad alta risoluzione hanno utilizzato una risonanza magnetica molto potente non autorizzata per gli esami sulle persone in vita.
I risultati dell’analisi, pubblicati sul New England Journal of Medicine, hanno messo in luce i molti danni subiti dai vasi sanguigni, dai piccoli coaguli di sangue all’ispessimento e infiammazione delle pareti di alcune arterie, alla presenza di sangue fuoriuscito dalle vene nel cervello. Spesso tutti e tre i fenomeni coesistevano.
Secondo i ricercatori la presenza dei coaguli, l’infiammazione delle pareti dei vasi e le perdite di sangue possono contribuire ai danni al cervello correlati a Covid-19.
L’infiammazione spiega tutto?
C’è però anche un’altra ipotesi al vaglio degli scienziati. Potrebbe darsi che l’infiammazione del corpo abbia delle ripercussioni anche sul cervello. In presenza di una infiammazione, alcuni neurotrasmettitori con un ruolo chiave nella comunicazione dei segnali come serotonina, norepinefrina e dopamina possono andare in tilt. I messaggi neuronali possono venire interrotti favorendo l’insorgere di disturbi neurologici o psichiatrici. Una condizione del genere è stata osservata nei giocatori di football che subiscono una lesione cerebrale: l’infiammazione è spesso associata a disturbi mentali. Lo stesso accade nelle persone che soffrono di depressione: spesso il disturbo psichico è accompagnato da elevati livelli di infiammazione.
E dato che Covid-19 provoca uno stato infiammatorio significativo è lecito ipotizzare che il cervello ne possa risentire come succede in altre condizioni. Tra l’altro è stato osservato che le cellule della microglia, la versione nel cervello delle cellule immunitarie, si attivano rilasciando proteine infiammatorie in molti casi (43%) di infezione di Covid-19.
Questo fenomeno non è del tutto inaspettato. Anche altre infezioni virali provocano l’attivazione delle microglia che è a sua volta all’origine di sintomi come stanchezza, difficoltà di concentrazione, mal di testa, confusione.
Altri fattori in gioco
C’è la possibilità infine che i disturbi mentali o neuroogici possano dipendere anche dalle terapie usate nei pazienti, tra cui per esempio il tipo di anestetico scelto per sedare i pazienti in terapia intensiva. Anche la posizione prona mantenuta a lungo nella degenza potrebbe contribuire alla compressione di alcuni nervi con conseguenze sul cervello.
Ancora non è chiaro chi sono le persone più a rischio di soffrire di disturbi mentali, quanto durino i sintomi e soprattutto quali di queste manifestazioni possano essere attribuite direttamente all’infezione e non ad altri fattori, come il disagio del ricovero, l’isolamento e la paura della malattia.
Ancora oggi, insomma, la definizione di “nebbia cerebrale”, la sindrome neurologica di Covid-19, resta essa stessa piuttosto annebbiata.