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DidascaliaImmagine: Weizmann Institute of Science
La struttura di base necessaria al suo sviluppo è al completa: c’è la placenta, il sacco vitellino, il corion. Ci sono i tessuti esterni indispensabili per la crescita.
Quello realizzato in laboratorio al Weizmann Institute of Science è a tutti gli effetti un perfetto modello sintetico di embrione umano, tanto che un test di gravidanza eseguito sul materiale prelevato da quella “copia” artificiale risulterebbe positivo.
Prodotto esclusivamente da cellule staminali, senza ovuli e spermatozoi, in otto giorni, tutti fuori dall’utero, l’embrione sintetico ha raggiunto lo stadio di sviluppo che in natura si raggiunge a 14 giorni.
Gli esperimenti precedenti non avevano ottenuto lo stesso livello di accuratezza. Finora si era arrivati al massimo a realizzare aggregati cellulari derivati da cellule staminali umane che però non possedevano tutte le caratteristiche distintive di un embrione post-impianto. In particolare, mancavano diversi tipi di cellule essenziali per lo sviluppo dell’embrione, come quelle che formano la placenta e il sacco corionico. Quei modelli, inoltre, non possedevano l'organizzazione strutturale caratteristica dell'embrione e non possedevano le potenzialità dinamiche di progredire allo stadio di sviluppo successivo.
Per questa ragione, il modello del Weizman Institute descritto su Nature può essere considerato il modello di embrione sintetico più vicino a quello naturale, una copia estremamente realistica su cui poter studiare in laboratorio ciò che accade nelle primissime cruciali fasi della gravidanza quando si forma la struttura che dà il via alla successiva crescita.
«Il momento cruciale è nel primo mese, i restanti otto mesi di gravidanza sono principalmente caratterizzati da una continua crescita. Ma quel primo mese è ancora in gran parte una scatola nera. Il nostro modello di embrione umano derivato da cellule staminali offre un modo etico e accessibile di scrutare questa scatola. Imita da vicino lo sviluppo di un vero embrione umano, in particolare l’emergere della sua architettura squisitamente raffinata», commenta Jacob Hanna, a capo dello studio.
Il gruppo di ricerca; da sinistra: Noa Novershtern, Vladyslav Bondarenko, Jacob Hanna, Bernardo Oldak ed Emilie Wildschutz. Immagine: Weizmann Institute of Science
Per realizzare l’embrione sintetico umano, i ricercatori hanno usato la stessa procedura adottata in precedenza per la produzione di modelli embrionali sintetici di topi. Anche allora gli scienziati non aveva usato né ovuli, né spermatozoi, né uteri. Il modello di embrione animale era stato creato esclusivamente con cellule staminali. Lo stesso iter è servito per la realizzazione dei modelli di embrioni umani.
Il “materiale” di partenza era costituito da cellule staminali pluripotenti, alcune derivate da cellule epiteliali adulte che erano state riconvertite allo stato “staminale”, altre ottenute da linee di cellule staminali umane coltivate per anni in laboratorio.
I ricercatori hanno poi utilizzato un metodo specifico, messo a punto dal loro stesso team, per riprogrammare le cellule staminali pluripotenti e riportarle indietro nel tempo fino allo stato più primitivo, denominato “naïve”. È la fase della potenzialità assoluta: le cellule in quel momento sono in grado di diventare qualsiasi cosa, specializzandosi in qualsiasi tipo di cellula. Questa fase corrisponde al settimo giorno dell'embrione umano naturale, all’incirca il periodo in cui avviene l’impianto nell'utero.
Gli scienziati hanno diviso le cellule in tre gruppi. Un primo gruppo era costituito dalle cellule destinate a svilupparsi nell’embrione che non sono state manipolate in alcun modo. Le cellule degli altri due gruppi, invece, sono state trattate solo con sostanze chimiche (non ci sono stati interventi di modificazione genetica) per indurre l’attivazione di determinati geni che avrebbero spinto le cellule a differenziarsi verso uno dei tre tipi di tessuti strutturali necessari per sostenere l'embrione: la placenta, il sacco vitellino o la membrana del mesoderma extraembrionale che crea il sacco coriale o corion.
Una volta fornito il kit completo di materiali, nella giusta proporzione, l’assemblaggio avviene da sé. «Un embrione è autoguidato per definizione; non abbiamo bisogno di dirgli cosa fare, dobbiamo solo liberare il suo potenziale codificato al suo interno. È fondamentale mescolare all’inizio i giusti tipi di cellule, che possono essere derivate solo da cellule staminali naive che non hanno restrizioni sullo sviluppo. Una volta fatto questo, è lo stesso modello embrionale a dire: ‘Vai!’», spiega Hanna
Le strutture simili all’embrione si sono sviluppate al di fuori dell’utero per otto giorni giorni, raggiungendo uno stadio di sviluppo equivalente al 14° giorno dello sviluppo embrionale umano, la fase in cui vengono “allestite” le strutture interne su cui si svilupperanno i progenitori degli organi del corpo.
Il nuovo modello sintetico di embrione potrebbe gettare luce sulle primissime fasi della gravidanze, quelle più delicate dove il rischio di aborto spontaneo è più alto e quelle in cui hanno origine molti difetti congeniti.
«I nostri modelli possono essere utilizzati per rivelare i segnali biochimici e meccanici che garantiscono un corretto sviluppo in questa fase iniziale e riconoscere i modi in cui tale sviluppo può andare storto», commenta Hanna.
Una scoperta è già stata fatta: i ricercatori hanno osservato che se l’embrione non è avvolto correttamente dalle cellule che formano la placenta al terzo giorno dello sviluppo in laboratorio (corrispondente al decimo giorno dello sviluppo embrionale naturale), le sue strutture interne, come il sacco vitellino, non riescono a svilupparsi correttamente.
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